Proseguo la lettura della legge 194 / 1978, di cui abbiamo esaminato il primo articolo nel post dell’altro giorno (qui: https://leonardolugaresi.wordpress.com/2022/10/29/il-diritto-allaborto-non-esiste-lo-dice-anche-la-194/).
Articolo 2
I consultori familiari istituiti dalla legge 29 luglio 1975, n. 405, fermo restando quanto stabilito dalla stessa legge, assistono la donna in stato di gravidanza:
[…]
d) contribuendo a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza. [Commento: poiché, come abbiamo detto, la ratio della legge è, ufficialmente, tutelare socialmente la maternità e combattere l’aborto clandestino facendo in modo che gli aborti che non si possono evitare vengano inseriti in un contesto pubblico che li trasforma in “interruzioni volontarie della gravidanza”, anzi in IVG, nell’implicito e indebito assunto che ciò ne cambi la natura, il dovere dei consultori familiari di impegnarsi attivamente per superare le cause che potrebbero indurre ad abortire ne consegue direttamente. Non è facoltativo. Se non lo fanno, violano la legge. Altro che “la legge 194 non si tocca!”].
I consultori sulla base di appositi regolamenti o convenzioni possono avvalersi, per i fini previsti dalla legge, della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita. [Commento: questa invece è una facoltà, non un obbligo, ma è esplicitamente prevista dalla legge ed è anche esplicitamente legata ad una significativa esemplificazione di intervento sociale a favore della vita (aiutare la maternità difficile dopo la nascita). Quindi l’attiva collaborazione di associazioni e movimenti pro-vita con le istituzioni pubbliche per contribuire a superare la cause che inducono all’aborto è non solo pienamente legittima, ma in qualche modo auspicata dalla legge. Tutte le proteste, gli scandali, le iniziative di opposizione a volte anche violenta a tali forme di collaborazione delle organizzazione pro-vita, a cui abbiamo assistito più volte negli ultimi quarant’anni sono contrarie allo spirito e alla lettera della legge. Altro che “la legge 194 non si tocca!”]
La somministrazione su prescrizione medica, nelle strutture sanitarie e nei consultori, dei mezzi necessari per conseguire le finalità liberamente scelte in ordine alla procreazione responsabile è consentita anche ai minori. [Commento: chiunque vede che l’espressione «le finalità liberamente scelte in ordine alla procreazione responsabile» è solo un fumoso giro di parole che sta per «l’interruzione volontaria della gravidanza». In un italiano onesto, la formulazione dovrebbe essere: «È consentito somministrare su prescrizione medica […] i mezzi necessari per interrompere la gravidanza anche ai minori». La disonestà del linguaggio è sempre lo specchio di una cattiva coscienza. Qui emerge quello che chiamo il “sottotesto” della 194, cioè quel “non detto” che condiziona e in parte stravolge il significato del testo e la rende una cattiva legge. Si ricordi però che è sempre e solo il testo di una legge quello che giuridicamente conta: sempre, anche quando tra le sue righe trapela l’ipocrisia del legislatore. È un principio generale del diritto, infatti, che «nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore» (art. 12 C.C.). In questo caso, nascondendola sotto la cortina fumogena della perifrasi in burocratese, il legislatore ha inserito un’eccezione al principio generale della incapacità di agire della minore, che può – nelle forme che sono poi specificate all’articolo 12 della legge – abortire anche senza il consenso dei genitori, necessario invece per poter fare un’infinità di cose di assai minore rilevanza].
Articolo 4
Per l’interruzione volontaria della gravidanza entro i primi novanta giorni, la donna che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito, si rivolge ad un consultorio pubblico istituito ai sensi dell’articolo 2, lettera a), della legge 29 luglio 1975 numero 405, o a una struttura socio-sanitaria a ciò abilitata dalla regione, o a un medico di sua fiducia. [Commento: un «serio pericolo» è un serio pericolo. Ripetete con me: «serio pericolo». Qualunque cosa voglia dire, non è nulla di meno di un serio pericolo. Questo dice il testo. Il sottotesto, invece, lo conosciamo bene, perché è quello che ha dispiegato i suoi effetti in questi quaranta e più anni, ed è più o meno questo: «vabbé, son cose che si dicono, e magari si scrivono anche, poi in realtà si fa un po’ come si vuole». Però la legge, applicata secondo il senso «fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse», dice «serio pericolo». Ogni aborto fatto al di fuori di questa condizione (che, come vedremo tra un attimo, va accertata) è contro la legge. Altro che “la legge 194 non si tocca!”]
Articolo 5
Il consultorio e la struttura socio-sanitaria, oltre a dover garantire i necessari accertamenti medici, hanno il compito in ogni caso, e specialmente quando la richiesta di interruzione della gravidanza sia motivata dall’incidenza delle condizioni economiche, o sociali, o familiari sulla salute della gestante, di esaminare con la donna e con il padre del concepito, ove la donna lo consenta, nel rispetto della dignità e della riservatezza della donna e della persona indicata come padre del concepito, le possibili soluzioni dei problemi proposti, di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza, di metterla in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre, di promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto. [Commento: qui viene ribadito, in modo più preciso articolato e assolutamente cogente, quanto era stato accennato già all’art. 2. Tutta l’impalcatura della 194, ufficialmente, si regge su questo: l’inserimento della donna alle prese con una gravidanza problematica dentro un percorso pubblico viene considerato decisivo per consentire un diverso trattamento dell’interruzione volontaria proprio e solo perché quel percorso pubblico è tutto finalizzato a tutelare la maternità e prevenire il più possibile l’aborto. Se cade questo, perché è solo una finzione, il sottotesto travolge il testo e la 194 diventa una legge abortista, mentre pretende di non esserlo. Altro che “la legge 194 non si tocca!”]
Quando il medico del consultorio o della struttura socio-sanitaria, o il medico di fiducia, riscontra l’esistenza di condizioni tali da rendere urgente l’intervento, rilascia immediatamente alla donna un certificato attestante l’urgenza.
Con tale certificato la donna stessa può presentarsi ad una delle sedi autorizzate a praticare la interruzione della gravidanza.
Se non viene riscontrato il caso di urgenza, al termine dell’incontro il medico del consultorio o della struttura socio-sanitaria, o il medico di fiducia, di fronte alla richiesta della donna di interrompere la gravidanza sulla base delle circostanze di cui all’articolo 4, le rilascia copia di un documento, firmato anche dalla donna, attestante lo stato di gravidanza e l’avvenuta richiesta, e la invita a soprassedere per sette giorni. Trascorsi i sette giorni, la donna può presentarsi, per ottenere la interruzione della gravidanza, sulla base del documento rilasciatole ai sensi del presente comma, presso una delle sedi autorizzate. [Commento: il testo dice che la struttura pubblica, di fronte ad una richiesta di abortire, anche se fatta in presenza di quel «serio pericolo» di cui sopra, non deve avere un atteggiamento di promozione dell’aborto, ma al contrario deve fare del suo meglio per evitarlo, rinviando la decisione. Il sottotesto invece dice: “è una pura formalità, ripassi tra sette giorni e il certificato è pronto”]
Articolo 6
L’interruzione volontaria della gravidanza, dopo i primi novanta giorni, può essere praticata:
a) quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna; [Commento: qui non c’è niente da dire. È vero che non c’è amore più grande che dare la vita per un altro, ma questa verità evangelica non può diventare una legge dello stato. Quando sui piatti della bilancia ci sono due vite, anche se per una delle due la morte è una certezza e per l’altra è un grave pericolo, la legge degli uomini non può obbligare nessuno all’eroismo di rischiare la propria vita per darla a un altro].
b) quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna. [Commento: qui invece ci sarebbe moltissimo da dire, ma non possiamo farlo ora. Mi limito a questo: la scienza avrebbe un miliardo di cose impressionanti da dirci, circa lo sviluppo e la complessità dell’essere umano che comincia la sua vita dal concempimento fino ai 90 giorni, e sarebbero cose molto disturbanti per la vulgata abortista, ragion per cui non sta bene dirle pubblicamente. Ma che un feto di quattro, cinque o sei mesi sia a tutti gli effetti un bambino, beh questo è evidente a tutti. Perciò su un piatto della bilancia abbiamo la vita di un bambino, sull’altro un grave pericolo (neanche una certezza), non per la vita ma per la salute della madre. Sono situazioni comunque terribili, nessuno può permettersi di parlarne a cuor leggero dall’esterno; ma non si può neanche sfuggire alla tragica evidenza che, se si sancisce che il diritto alla salute di un essere umano prevale sul diritto alla vita di un altro essere umano, si stabilisce che il secondo è “meno umano” del primo. Non c’è niente da fare: Menschen e Untermenschen. La 194, naturalmente, evita di affrontare questo problema, che non saprebbe risolvere, ma non può esimersi, all’ultimo comma del successivo articolo 7, di precrivere che «Quando sussiste la possibilità di vita autonoma del feto, l’interruzione della gravidanza può essere praticata solo nel caso di cui alla lettera a) dell’articolo 6 e il medico che esegue l’intervento deve adottare ogni misura idonea a salvaguardare la vita del feto». [Commento: con gli enormi progressi compiuti dalla medicina perinatale in questi quaranta anni, le possibilità di vita autonoma del feto sono aumentate moltissimo, quindi – stando al testo della 194 – i casi in cui dopo i novanta giorni si può procedere all’aborto al di fuori del pericolo di vita per la madre, si sono drasticamente ridotti. O dovrebbero …].
Articolo 19
Chiunque cagiona l’interruzione volontaria della gravidanza senza l’osservanza delle modalità indicate negli articoli 5 o 8, è punito con la reclusione sino a tre anni.
La donna è punita con la multa fino a lire centomila.
Se l’interruzione volontaria della gravidanza avviene senza l’accertamento medico dei casi previsti dalle lettere a) e b) dell’articolo 6 o comunque senza l’osservanza delle modalità previste dall’articolo 7, chi la cagiona è punito con la reclusione da uno a quattro anni.
La donna è punita con la reclusione sino a sei mesi.
Quando l’interruzione volontaria della gravidanza avviene su donna minore degli anni diciotto, o interdetta, fuori dei casi o senza l’osservanza delle modalità previste dagli articoli 12 e 13, chi la cagiona è punito con le pene rispettivamente previste dai commi precedenti aumentate fino alla metà. La donna non è punibile. [Commento: questo articolo, che non viene mai ricordato e ad una lettura superficiale potrebbe sembrare poco importante nell’impianto complessivo della legge, è invece fondamentale per una sua corretta comprensione. Esso ci ricorda che per il nostro ordinamento giuridico l’aborto, al di fuori del perimetro tracciato dalla legge 194, resta illecito. La 194, perlomeno nel suo testo (non nel sottotesto che dice il contrario), delinea una eccezione ad un principio generale che resta valido: si può abortire solo nelle circostanze, nei modi e nei luoghi che prescrive la legge: le stesse azioni, compiute al di fuori di quel determinato percorso istituzionale, sono considerati dei reati che la legge punisce. Poco importa che la sanzione applicata alla donna sia meramente simbolica: basta la sua esistenza, a certificare, al di là di ogni dubbio, che nella Repubblica Italiana non esiste alcun diritto all’aborto].
Quando il ministro Roccella, l’odiata ultracattolica, dice di volersi impegnare perché sia garantito alle donne il diritto di non abortire, non fa altro che sforzarsi di applicare, una buona volta, la legge 194 nel suo testo, sbarazzandosi del sottotesto. Altro che “la legge 194 non si tocca!”. L’hanno “toccata” sin dall’inizio, interpretandola come forse il legislatore (di nascosto) e certamente gli abortisti apertamente volevano, ma non secondo il suo testo, né secondo l’intenzione dichiarata dal parlamento che la votò. È forse giunto il momento di applicare bene quella legge, che nella sua ipocrisia non è certo una buona legge, ma non è così cattiva come l’hanno fatta diventare.