«Questo per voi il segno: troverete un bambino» (Lc 2,12).
Dunque oggi Dio ci viene incontro sub specie pueri. In forma di bambino. Dobbiamo riflettere su questo, non basta commuoversi (ammesso che ancora ne siamo capaci).
Il bambino è l’identico. Gli adulti sono diversi, a seconda dei tempi e dei luoghi cambiano linguaggio, mentalità e costumi, a tal punto che possono perfino non riconoscersi reciprocamente. L’infante no, è «lo stesso ieri, oggi e sempre», nei suoi bisogni e nelle sue reazioni elementari. Nessun singolo adulto può adeguatamente rappresentare l’intera umanità, se non facendo astrazione da tutte le sue caratteristiche; di ogni bambino, invece, si può dire del tutto naturalmente: Ecce homo! Ecco l’uomo.
Se gli infanti sono sempre gli stessi, ben diverso è il modo di considerarli a seconda dei tempi e dei luoghi. Nella società di una volta, e anche oggi in tutti i quei luoghi in cui il primo problema è sopravvivere, il bambino non conta molto: è una bocca da sfamare e non produce nulla. Di qui la durezza, che a noi scandalizza, di quelle età che lo vedevano, principalmente, come uno che deve sbrigarsi a diventare adulto per dare il suo contributo alla lotta per tirare avanti e che non ha, di per sé, particolari diritti, né merita particolare attenzione. È l’irrilevante.
La società occidentale di oggi sembra dare invece grande importanza al bambino, ostenta di commuoversi per lui e, almeno a parole, se ne preoccupa molto. Ma non ne è, invece, sotto sotto disturbata? E il fatto stesso di concepire il bambino come problema non è forse un sintomo (tr i più acuti) della catstrofe della modernità, come Leopardi aveva profeticamente intuito già due secoli fa? «Nasce l’uomo a fatica, / ed è rischio di morte il nascimento. / Prova pena e tormento / per prima cosa; e in sul principio stesso / la madre e il genitore /il prende a consolar dell’esser nato».
Il bambino non è quasi più l’irrilevante: ore è il perturbante.
«Questo per voi il segno: troverete un bambino».