Non ho visto, e non vedrò, il film Rapito di Marco Bellocchio, quindi non mi esprimo sul suo significato ed eventuale valore come opera artistica. Dico qualcosa, invece, sul messaggio che esso trasmette, per come l’ho desunto dalle recensioni e dai commenti che ho letto. È la tesi, ben nota, che considera solo come un rapimento (come infatti il titolo del film dichiara) la decisione, presa nel 1858 dall’allora sovrano dello Stato Pontificio Pio IX, di sottrarre ai genitori il bimbo ebreo Edgardo Mortara, in seguito alla scoperta che il piccolo era stato battezzato in articulo mortis da una domestica e quindi era divenuto cristiano. Un rapimento, cioè un atto criminale di odiosa, inaccettabile violenza. Presumo che gran parte di coloro che andranno a vedere quel film ne ricaveranno ostilità e risentimento verso Pio IX, verso la chiesa di allora e anche quella di oggi, che lo ha beatificato poco più di venti anni fa, e non sarei sorpreso se proprio questo fosse uno degli scopi per cui il film è stato prodotto.
Non condivido affatto quella tesi e tra un attimo spiego perché. Prima però devo aggiungere che mi ritrovo assai poco anche in certe ricostruzioni del caso Mortara, di segno opposto e di taglio apologetico, che ho letto in questi giorni. In esse il comportamento del papa viene presentato in una luce completamente positiva, e si addebita semmai proprio alla famiglia Mortara, e in particolare al padre, la responsabilità di buona parte delle sofferenze che la vicenda incontestabilmente provocò, a causa del suo rifiuto di accettare le proposte di una soluzione “concordata” del problema dell’educazione del piccolo Edgardo, avanzate dale autorità ecclesiastiche prima di procedere alla sottrazione forzata del bambino alla famiglia, o per l’irrigidimento dei rapporti che ci fu quando il ragazzo, raggiunta l’età della ragione, manifestò la ferma volontà di perseverare nella professione della fede cristiana a cui era stato educato.
Entambe le posizioni hanno il grave difetto di non cogliere il carattere essenziale della vicenda Mortara, che è la sua tragicità e di sfuggire perciò al problema di come si possa sciogliere il nodo tragico che essa ci presenta. Quando parlo di “nodo tragico” intendo precisamente una situazione di contraddizione irrisolvibile, simile a quella che, nella tragedia greca, si trova per esempio ad affrontare un Oreste preso nella morsa dei contrapposti imperativi di vendicare l’assassinio del padre e di non versare il sangue della madre: comunque egli agisca, commette un delitto. Il caso Mortara fu, in senso proprio, una tragedia, perché tutti i dati storici e gli argomenti giustamente addotti dai difensori di Pio IX – a quanto pare ignorati o censurati (in presumibile malafede) da Bellocchio – aiutano sì a contestualizzare e a comprendere l’accaduto, ma non ne scalfiscono il “nocciolo duro”, costituito dalla violazione di un diritto naturale inalienabile, quello che i genitori di Edgardo Mortara avevano, come ogni altro padre e ogni altra madre, di educarlo secondo coscienza, cioè in base ai propri principi e valori. Dico diritto, ma sarebbe forse più appropriato parlare di onere, che è parola giuridica ancor più sacra in quanto indica un diritto-dovere derivante da una posizione qualificata in cui una persona si trova oggettivamente: essere padre / madre di un bambino è un fatto che di per sè investe in modo permanente e irreversibile l’uomo e la donna che lo hanno generato di una responsabilità che è sacra di fronte a Dio, e di cui non si possono sgravare a proprio arbitrio. Figuriamoci se qualcun altro gliela può togliere. Sottolineo questo “di fronte a Dio”, perché quando da cristiani parliamo di “diritto naturale” non pensiamo certo al fantomatico codice non scritto di una inesistente Natura illuministicamente intesa, bensì all’ordine che Dio Creatore ha stabilito, sin dal principio, “incidendone” indelebilmente i precetti nella coscienza umana. Ogni violazione della legge naturale, quindi, è un’offesa a Dio, e chi la commette con piena avvertenza e deliberato consenso fa un peccato mortale. Non una cosa che possa essere messa tra parentesi o presa alla leggera.
Oltretutto, a questo particolare tipo di violazione del diritto naturale costituito dalla lesione della potestà genitoriale, noi oggi dovremmo essere particolarmente sensibili, perché essa è minacciata nella nostra cara repubblica più di quanto non lo fosse sotto il regno di Pio IX. Il caso Mortara è roba di centosessantacinque anni fa e riguarda un mondo che non esiste più da un pezzo; Bibbiano o il Forteto invece, tanto per non far nomi, sono di adesso. Togliere i figli ai genitori, per le più diverse ragioni, è una pratica che appartiene molto di più al sistema sociale e giuridico della nostra società tanto aperta, democratica e attenta alla tutela dei diritti, che non a quello “retrivo e bigotto” che immagino venga messo sotto accusa nel film di Bellocchio. Tutti oggi sono pronti ad ammettere che in certi casi è necessario, perché è l’unico modo di preservare la vita e la salute dei bambini, ma dovrebbe trattarsi sempre di un’extrema ratio, un po’ come in medicina si ricorre all’amputazione di una parte del corpo quando non c’è altro modo di salvare il paziente: nessuno accetterebbe di amputare un arto solo perché è difettoso, per sostituirlo con una protesi più efficiente. Analogamente, si può togliere un figlio ai genitori solo se è l’unico modo di tutelarne la vita e la salute, non perché la società e il potere che la governa hanno una cattiva opinione di loro, delle loro credenze e dei loro valori e stili di vita. Se non si difende con le unghie e con i denti il principio che la responsabilità dell’educazione dei figli appartiene ai genitori e non allo stato, ci si è già arresi al totalitarismo.
Questo mi pare che sia uno dei corni del dilemma tragico che non vedono, o quantomeno sottovalutano, certi apologeti troppo disinvolti di Pio IX. Bellocchio e tutti quelli che prenderanno per oro colato il messaggio del suo film, censurano invece l’altro polo della contraddizione, quello che deve farci riconoscere che l’atto compiuto dal papa fu sì irrimediabilmente ingiusto da un lato, ma più che giusto, addirittura eroico (tragicamente eroico, appunto) dall’altro. Essendo in coscienza sicuro che il battismo impartito a Edgardo Mortara era valido – il che a mio avviso potrebbe forse essere discusso, ma di questo dirò qualcosa domani – Pio IX si ritenne infatti moralmente obbligato a difendere, con tutti i mezzi a sua disposizione, compresi quelli che gli derivavano dalla sovranità temporale, il superiore diritto di ogni battezzato a professare la propria fede, che implica anche il diritto ad essere istruito ed educato in essa. Per dirla in termini rozzi ed elementari: prese sul serio il sacramento del battesimo. Credette che lì era implicato un diritto che è più che naturale, perché è dell’uomo ma è anche, in un certo senso e se così si può dire, un diritto di Dio. E fu eroico nel combattere, contro ogni calcolo di umana convenienza che avrebbe assolutamente consigliato di lasciar perdere, quella battaglia terribile e rovinosa. Bene dunque ha fatto la chiesa, istruendo il processo di beatificazione di Pio IX, a non stimare un ostacolo il suo comportamento nella vicenda Mortara.
Che tutto ciò scandalizzi il mondo è perfettamente comprensibile, direi che è quasi scontato. Che al giorno d’oggi non lo capiscano più neppure molti cristiani, è invece uno scandaloso indizio di quanto siamo diventati ignoranti dei contenuti della fede che professiamo.
Un ultima cosa: ai miei occhi il caso Mortara è un argomento definitivo per affermare che in ogni caso la chiesa non deve avere sovranità temporale; non deve quindi disporre del potere legittimo di usare la forza. Se papa Pio IX avesse sì combattuto strenuamente la sua “buona battaglia” per il diritto all’educazione cristiana del battezzato Edgardo Mortara ma il sovrano cattolico di uno stato di cui il piccolo fosse stato suddito gli avesse contrapposto la difesa del diritto naturale dei genitori, la contraddizione sarebbe rimasta però non si sarebbe annodata così tragicamente. E Dio avrebbe comunque saputo Lui che cosa fare …