Ma Gesù, era bello? Celso, il filosofo pagano che all’epoca di Marco Aurelio scrive il Discorso vero, la prima opera di sistematica condanna del cristianesimo, crede di sapere che «il suo corpo non differiva da nessun altro, ma (a quanto dicono) era piccolo, brutto e volgare (μικρὸν καὶ δυσειδὲς καὶ ἀγεννὲς)» e trae di qui un argomento per negare che potesse essere di natura divina. Gli pare ovvio, infatti, che sa mai uno spirito divino albergasse in un corpo umano, questo dovrebbe essere straordinariamente superiore a tutti gli altri.
Per Origene – che verso la metà del III secolo compone il Contro Celso, una poderosa confutazione del Discorso vero in cui quel trattato viene scrupolosamente e fedelmente citato, preso sul serio e genialmente demolito – in assenza di qualsiasi attendibile tradizione protocristiana sull’aspetto fisico di Gesù (e su questo non scontato, anzi per certi aspetti sorprendente, silenzio delle fonti dovremo un’altra volta ritornare), vale soprattutto il riferimento cristologico al “servo sofferente” di Isaia, che «non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per provare in lui diletto» (cfr. Is. 53,2-3), e quindi ammette anche lui che «effettivamente risulta dalle Scritture che il corpo di Gesù era brutto, però non – come Celso dice – volgare, e non è indicato chiaramente che era piccolo» (Contra Celsum, VI, 75).
Poi però si chiede: «come mai non vede Celso che la superiorità del suo corpo doveva essere proporzionata alla capacità di quelli che lo guardavano, e che per tale ragione egli appariva nella forma utile, quale era richiesta dalla visione particolare di ciascuno?» (VI, 77). Talvolta, infatti, di Gesù si poteva dire che non era niente di speciale, «talvolta invece [aveva] un aspetto così glorioso e stupefacente e meraviglioso, che di fronte allo spettacolo d’una tale bellezza caddero a terra bocconi i tre apostoli che erano andati insieme con Gesù» (ibid.).
Però, prosegue Origene, «questo punto della nostra dottrina ha un significato ancor più recondito, in quanto svela che le forme differenti, in cui Gesù appariva, erano in rapporto con la natura del Verbo divino. Egli difatti non appariva nello stesso modo alla folla, ed a coloro che erano capaci di seguirlo sull’alto monte, che abbiamo ricordato. In realtà, per quelli che si trovavano ancora sotto il monte, e non sono preparati all’ascesa, il Verbo “non ha né forma né bellezza”» (ibid.). Per il mondo, i discorsi dei filosofi sono molto più belli della Parola di Dio. «Per coloro invece che, seguendolo, hanno ricevuto il potere di accompagnarlo, anche quando egli ascende “sull’alto monte”, egli ha un aspetto più divino» (ibid.).
Questo del diverso modo in cui Gesù, pur restando sempre lo stesso, appare a seconda della posizione e della capacità di coloro che lo osservano è un tema origeniano ricorrente, sul quale ci farebbe bene meditare a lungo. Qui basterà solo uno spunto: oggi si parla spesso della bellezza come la sola via (insieme con la misericordia) attraverso cui si può cercare di avvicinare a Cristo gli uomini del nostro tempo, dopo il “crollo delle evidenze elementari” e dopo che la ragione, ormai destrutturata, sembra divenuta refrattaria a qulasiasi giudizio di verità. Sta bene, purché non si dimentichi che anche la bellezza di Cristo non si impone a tutti come autoevidente. Non c’è un fascino irresistibile ed universale della bellezza cristiana che permetta di oltrepassare in scioltezza la porta stretta del giudizio, cioè la fede. Cristo è «il più bello tra i figli dell’uomo» (Sal. 44,3), ma per chi lo guarda con gli occhi della fede e così lo riconosce; per molti altri è al massimo “un tipo”, uno che “può piacere” e con cui si può flirtare, ma non l’amore della vita. E a qualcuno può addirittura sembrare brutto.
Anche la Bellezza è un giudizio. In cui ci si gioca, tutti e per intero.