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Archivi Mensili: marzo 2022

Puttane in Paradiso (#Dante, Paradiso, Canto IX, vv. 13-42)

29 martedì Mar 2022

Posted by leonardolugaresi in Dante per ritrovarsi

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#Dante, amore, Francesca

Il titolo è un po’ forte, ma non sono stato io a dire che i pubblicani e le prostitute ci passeranno avanti nel regno dei cieli (Mt 21, 31-32). (E Cristo non diceva per modo di dire. Non ha mai detto nulla “per modo di dire”, checché ne pensino talvolta preti e professori di esegesi). Il termine, squisitamente dantesco peraltro (vedi Inferno, XVIII, v. 133; Purgatorio, XXX, vv. 149 e 160) è quello che la gente comune adopera, almeno dalle mie parti, – (o forse adoperava quando c’era meno ipocrisia nel linguaggio; ma io penso che anche adesso, quando nessuno le sente, persino le vestali del politicamente corretto parlino come si è sempre fatto) – per designare quelle che “la danno via” un po’ a tutti, con volenterosa e inesausta facilità.

Cunizza da Romano, protagonista di questo canto, era la sorella di Ezzelino III, signore della Marca Trevigiana, famigerato tiranno di inaudita ferocia, esecratissimo al tempo di Dante: negli stessi anni in cui lui scriveva la Commedia, un letterato padovano, Albertino Mussato, compose su di lui un’intera tragedia, Ecerinis, che sempre viene ricordata nei manuali di storia della letteratura italiana e quasi mai letta da alcuno, ma allora fu molto lodata. Insomma: sarebbe un po’ come dire oggi “la sorella di Putin”, tanto per inquadrare l’ambiente familiare. Spietato e sanguinario il fratello, affamata di carne, in un altro senso, la sorella. Così almeno si dice: noi dobbiamo stare alla leggenda ed essere consapevoli che è di un personaggio che stiamo parlando: la persona in carne ed ossa chissà com’era in realtà. Solo Dio lo sa. Noi dalle scarse fonti di cui disponiamo possiamo ricavare solo che ebbe una vita movimentata, in cui entrarono molti uomini, tra cui anche quel Sordello da Goito del canto VI del Purgatorio, e che finì i suoi giorni a Firenze, dove Dante ragazzino potrebbe averla vista o averne sentito parlare, giacché morì quando lui aveva quattordici anni. Ma qui è la fama quella che conta: Jacopo della Lana, contemporaneo di poco più giovane di Dante, tra i primi commentatori della Commedia, riferisce di lei che «era de tanta larghezza in lo so amore che avrebbe tenuto grande villania a porsi a negarlo a chi cortesemente gliel’avesse domandato». Un tipo alla Bocca di Rosa della canzone di De André, per capirci.

La cosa meravigliosa, sorprendente e salutare (una volta che l’abbiamo capita), è che questa bella troiona fatta e finita Dante la mette in Paradiso a festeggiare la gloria di Dio, mentre colei che è la sua antitesi, l’affascinante Francesca, idolo di tutti gli storditi lettori romantici della Commedia (e pericolosa insidia per tutti noi), sta all’inferno in eterna silenziosa incattivita convivenza forzata con «colui che mai da me non fia diviso», impossibilitata a pregare («se fosse amico il re dell’universo …»), ridotta a esibire le sue finezze intellettuali da gran signora a beneficio del solo Dante («O animal grazioso e benigno … di quel che udire e che parlar vi piace … Amor ch’al cor gentil ratto s’apprende …»). Noi non ce ne capacitiamo, perché siamo intrisi di moralismo e di estetismo: il primo ci incatena alla nostra misura di (presunta) moralità realizzata e ci rende inflessibili giudici del male che ci sembra oltrepassare la soglia di quello che potremmo fare noi. I peccati fino al livello dei miei ci possono stare: le porcate che invece io non farei mai (nel senso che non le ho ancora fatte), ecco quelle proprio non si possono tollerare. L’estetismo invece ci fa pensare che ciò che è “bello” (nel senso di attraente, elegante, comme il faut secondo la moda del momento, prestigioso), non può essere male male. Anche quando la ragione ci dice che è male, troviamo il modo di pensare che però sia un “male perbene”, un male che non fa schifo. Come si fa, pensiamo noi, a mettere sullo stesso piano la bellissima Francesca, che ha tradito una sola volta, per “ragioni” e in forme così nobili, così alte – come lei stessa è pronta a spiegare, con parole tra le più poetiche della letteratura di ogni tempo, a chiunque voglia stare ad ascoltarla – e quella zoccola di Cunizza, che come tutti sanno si è fatta trombare da mezzo mondo?

“Infatti non le metto sullo stesso piano”, ci risponde Dante che, da vero cristiano si è liberato tanto del moralismo quanto dell’estetismo e segue Gesù Cristo, l’unico che conosca fino in fondo il cuore dell’uomo e della donna e li giudichi secondo verità. Cunizza, che ha molto e male amato, si è pentita del suo male e lo ha consegnato a Cristo, il quale le ha restituito, purificato e intatto, tutto quel suo amore, che da carnale ora è tutto spirituale. (Nota bene: Spirito è più di carne, non carenza di carne). Quindi sta infinitamente al di sopra di Francesca: se ai nostri occhi appare come la sua antitesi, in realtà è la salvezza da lei.

Ecco come parla di sé Cunizza, con parole infinitamente meno note di quelle dell’altra, ma infinitamente più edificanti e preziose per noi. Prima però notiamo il modo in cui si avvicina a Dante: «Ed ecco un altro di quelli splendori / ver’ me si fece, e ‘l suo voler piacermi / significava nel chiarir di fori» (vv. 13-15). È solo un particolare, ma talmente godurioso che solo un genio poetico totalmente privo di complessi se lo poteva permettere in un contesto del genere: tutte le anime del Paradiso fanno festa a Dante quando gli si accostano, in una ricchissima varietà di modi, ma qui la sfumatura di “seduzione” («’l suo voler piacermi», un’espressione di cui si è ricordato Gozzano) in cui traluce, totalmente redenta, una traccia dell’antica collezionista di uomini, è peculiare e a mio avviso assolutamente fantastica. Come dire che nel perdono di Dio davvero nulla dell’umano, anche dell’umana carne, va perduto. Quel suo voler piacere, che tanto le aveva condizionato la vita, ora è riscattato in pura capacità di amare con calore, passione nell’immedesimarsi con l’altro, dolcezza di fargli la carità del dono di sé.

«In quella parte della terra prava» – («Siede la terra dove nata fui» aveva detto quall’altra) – «italica che siede tra Rïalto / e le fontane di Brenta e di Piava, // si leva un colle, e non surge molt’alto, / là onde scese già una facella / che fece alla contrada un grande assalto» (vv. 25-30) – suo fratello Ezzelino, il Putin di allora, come ho detto. «D’una radice nacqui e io ed ella: / Cunizza fui chiamata, e qui refulgo / perché mi vinse il lume d’esta stella;» (vv. 31-33) – qui, cioè nel cielo di Venere, perché fui dominata in vita dalla passione amorosa – e ci sta; ma qui, cioè anche in Paradiso, e non nonostante questa mia tendenza, ma «perché mi vinse il lume d’esta stella». Qui però noi cominciamo anche a non capire e a questo punto viene la terzina meravigliosa, quella che (dopo che l’abbiamo capita) ci riempie di gioia, anzi di allegria (per usare la parola ungarettiana):

«ma lietamente a me medesma indulgo / la cagion di mia sorte, e non mi noia; / che parria forse forte al vostro vulgo» (vv. 33-36). Lietamente a me medesma indulgo è cosa troppo bella perché la si possa dire fuori del Paradiso. Direi che è il Paradiso, in un certo senso. Qualcosa che noi ancora non stiamo capendo; Dante lo sa bene e ce lo dice: «che parria forse forte al vostro vulgo». Il volgo siamo noi, troppo volgari per afferrarle al volo, certe cose.

Occorrerà che ci torni sopra un altro personaggio, il secondo protagonista di questo canto (in cui peraltro si parla quasi sempre di politica, come diremo), un altro soggetto poco raccomandabile quanto Cunizza, che lei, incorreggibile!, presenta a Dante chiamandolo «luculenta e cara gioia» (v. 37), un bel complimento in cui diremmo quasi che la luce ha qualcosa di sensuale, se si potesse dire una cosa del genere in paradiso!

Io mi fermo qui, sperando di aver seminato un po’ di desiderio per la seconda meravigliosa spiegazione che ci attende.

L’uomo più pericoloso del pianeta.

26 sabato Mar 2022

Posted by leonardolugaresi in Senza categoria

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guerra

In questo preciso momento l’uomo più pericoloso del pianeta non è più Valdimir Putin, che il suo “grande male” l’ha già compiuto e per questo farà i conti con Dio. (Dio è infinitamente giusto, e Suo Figlio, che lo conosce bene, una volta lo ha paragonato, in un passo del vangelo che noi non amiamo ricordare, ad un uomo duro, “che miete dove non ha seminato e raccoglie dove non ha sparso”. Molto più duro di Putin, se vuole.)

A me pare che, in questo preciso momento, l’uomo più pericoloso del pianeta sia Joe Biden che, con le sue irresponsabili dichiarazioni, non fa che incrementare il conflitto in corso, rischiando di farlo deflagrare in una guerra mondiale.

Tutto il mondo rischia di pagare carissimo il fatto che nella pseudocampagna elettorale americana del 2020 sia stato letteralmente impedito al popolo degli Stati Uniti di porsi il problema delle condizioni mentali del candidato alla presidenza degli Stati Uniti Joe Biden, che “doveva” vincere le primarie prima e le elezioni presidenziali poi. A qualunque costo. Che oggi, da presidente degli Stati Uniti, egli sia andato a dire, in Polonia!, che il presidente russo deve essere cacciato e perseguito come criminale è una cosa di gravità inaudita perché significa mettere un macigno sulla strada di qualsiasi trattativa di pace. Così può parlare solo il capo di uno stato impegnato in una guerra “calda” che per giunta preveda solo la resa incondizionata del nemico. (Il che, nella presente situazione, vuol dire una guerra nucleare). Oppure un demente.

Un articolo da leggere, per un giudizio cristiano sulla #guerra in corso.

24 giovedì Mar 2022

Posted by leonardolugaresi in Senza categoria

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gloria di Dio, guerra, libertà, Russia, Ucraina

Raccomando a chi passa di qui la lettura di questo limpido articolo di Rodolfo Casadei appena pubblicato su Tempi, qui: https://www.tempi.it/quella-in-ucraina-non-e-una-guerra-tra-lultima-cristianita-e-il-globalismo/?fbclid=IwAR2NR2XbhT-0ACAxch8JOJdO0fi5sl8ozyzotHxRQ-eB6xb1a_UWx6KDG-k

Da cristiani, la prima cosa che dovremmo saper fare è riconoscere ciò che è cristiano e ciò che non lo è. Condivido la posizione espressa nell’articolo e aggiungo, di mio, che sono stupito e amareggiato nel vedere che tanti non riconoscano più che il bene più grande, per un cristiano, non è né la sopravvivenza né la libertà – che pure sono ovviamente dei grandissimi beni. Il bene supremo, quello che decide di tutti gli altri, noi sappiamo qual è: «la gloria umana di Cristo», come la chiamava don Giussani, cioè la gloria di Dio nel mondo che è «l’uomo vivente», come recita la bellissima formula di sant’Ireneo che un’altra volta, tanto tempo fa, commentammo in questo piccolo blog (qui: https://leonardolugaresi.wordpress.com/2016/02/02/gloria-dei-vivens-homo/).

Non hanno più una mente cristiana i tanti che oggi guardano con relativa indifferenza ai tanti «uomini viventi» fatti per render gloria a Dio, ucraini o russi che siano, i quali muoiono ogni giorno in guerra; e magari si esaltano anche per “la resistenza ucraina”, perché dicono che questa è la guerra del bene contro il male, per la libertà, i “nostri valori” eccetera eccetera. Non ce l’hanno più, una mente cristiana, perché credono che in campo vi sia l’opposizione tra il valore della libertà e il valore della sopravvivenza (altrui, in ogni caso!) e quindi si permettono di pensare che dulce et decorum est pro patria (vel pro libertate) mori. E non vedono che l’uccisione di un uomo vivente è togliere qualcosa alla gloria di Dio.

“Eroi” del nostro tempo.

21 lunedì Mar 2022

Posted by leonardolugaresi in Senza categoria

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Greta, mitologia, politica, santi ed eroi, Zelensky

Il mondo non-più-cristiano nel quale viviamo, avendo abolito i santi, ha un disperato bisogno di eroi. Poiché però l’etica della responsabilità, ormai priva di fondamento teologico sempre a causa dell’abbandono della fede, è ormai collassata dappertutto, anche l’idea di “eroismo” si è abbassata e banalizzata: per i media e per l’opinione pubblica che gli va dietro, “eroe“ può diventare, a buon mercato e secondo le convenienze, chi fa semplicemente il proprio dovere, o ciò che semplicemente “deve essere fatto” in una certa situazione. Ricordo per esempio che qui in Italia, dove quanto a trivialità non ci facciamo mancare niente, qualche anno fa in occasione di un tragico naufragio fu promosso ad “eroe” un tale ufficiale di marina solo per aver detto, dal suo ufficio, una battuta azzeccata allo sciagurato capitano responsabile del disastro: “salga a bordo, cazzo!”. (Eroismo da telegiornale e da social, s’intende: effimero, ma sufficiente a mandare in parlamento quel tale).

Questo fenomeno non è solo miserevole e patetico, ma anche dannoso perché una caratteristica dell’eroe, nella concezione dominante, è che egli sia indiscutibile, cioè non criticabile. Chi obietta, eccepisce, non applaude, o addirittura fa notare i suoi limiti e i suoi difetti, diventa subito una brutta persona, un tipo da emarginare e possibilmente escludere dal dibattito pubblico. Uno che deve stare zitto e vergognarsi. Al limite, uno “che si può odiare” impunemente. Se poi l’eroe è anche “vittima”, egli gode di una doppia intoccabilità: non gli si può per principio dare torto.

Spesso l’eroe (o l’eroina) è di “umile estrazione”, nel senso che le sue doti personali, la sua posizione, il suo patrimonio intellettuale e culturale, il suo capitale sociale possono essere, o piuttosto apparire, modesti se non addirittura poveri in rapporto a due fattori essenziali alla costruzione del suo mito: l’impresa che ha compiuto (e che, ripetiamo, potrebbe essere semplicemente il suo dovere) e l’antagonista a cui si oppone. Quest’ultimo viene a sua volta enfatizzato sia nell’aspetto della sua forza che in quello della sua cattiveria. Questi, per chi minimamente conosca la materia, sono tratti agiografici secolarizzati facilmente riconoscibili, solo che nel santo essi hanno un senso perché la debolezza personale dell’uomo vi è surrogata dalla forza della grazia divina – e pure la forza e cattiveria del nemico hanno una loro riconoscibile derivazione soprannaturale – mentre nel caso dell’eroe non si sa bene su che cosa si fondino, se non sul fatto che ci piace pensare che le cose vadano in un certo modo.

Noi assistiamo continuamente a questi processi di costruzione di miti eroici, che sono ovviamente opera di qualche “agenzia”, ma si presentano sempre come spontanei e assolutamente adespoti. Si prende una bambina (poi pseudo-tale), che ha semplicemente deciso di non andare a scuola per protestare “per il clima”, si compie l’agnizione del significato eroico del suo gesto e poi si opera – con eccezionale rapidità grazie ai mezzi di comunicazione esistenti oggi – la costruzione del personaggio eroico, che va in giro in tutto il mondo, incontra capi di stato e di governo, parla alle folle, smuove la politica e i poteri economici. Chi volesse sbirciare dietro le quinte della rappresentazione, oppure osservare, per esempio, che la (pseudo)bambina eroica dice anche parecchie sciocchezze, diventerebbe immediatamente una brutta persona. Il mito dell’eroica bambina ha contribuito, e non poco, a determinare un’impostazione della cosiddetta transizione ecologica delle cui criticità già ora ci accorgiamo, amaramente a nostre spese.

La pandemia e la guerra, che sono fatti, hanno indotto a ripiegare e mettere nel cassetto quel personaggio mitico, almeno per il momento, ma attualmente è in pieno svolgimento un altro processo di eroicizzazione ancor più pericoloso: quello del presidente ucraino Zelensky. Con tutto il rispetto dovuto a un capo di stato, e ancor più al presidente di uno stato ingiustamente aggredito che si difende dall’aggressore, Zelensky non è un eroe. A prescindere dal fatto che gli eroi semplicemente non esistono, il suo eroismo consisterebbe infatti nel non essere scappato al primo cenno di invasione russa e nel non essersi immediatamente arreso, cioè nell’aver fatto semplicemente il suo dovere di capo di stato. Si dirà che anche questo non è scontato, ed è vero (noi in Italia ne sappiamo qualcosa), però è puramente e semplicemente ciò che deve fare un presidente (o un comandante militare). Egli è dunque un uomo politico come gli altri, a quanto pare anche con qualche ombra o opacità nel suo passato, che fino all’invasione pare abbia governato il suo paese in modo assai poco apprezzato dalla maggioranza dei suoi concittadini e dal giorno dell’invasione è molto attivo nella propaganda a favore della resistenza contro l’aggressore. Punto.

Invece, con una prassi che credo non abbia precedenti, egli viene invitato a parlare quasi tutti i giorni ai parlamenti degli altri stati, che lo ascoltano con trepida devozione quasi fosse il GIuliano Felsenburg del Padrone del mondo di Benson. Mi pare che a tutti dica, sostanzialmente la stessa cosa: a) che lo scontro tra Ucraina e Russia è una specie di scontro metafisico, la sintesi di ogni lotta tra il Bene e il Male (agli americani dice che è l’11 settembre, agli inglesi che è Churchill contro Hitler, ai tedeschi che è il muro di Berlino, agli israeliani che è lo sterminio degli ebrei …); b) che gli altri paesi devono perciò entrare in guerra contro la Russia.

Sono concetti molto pericolosi, da cui è doveroso dissentire, con tutto il rispetto per lui e tutta la solidarietà possibile (largamente già in atto!) per il suo paese. Il bene per tutti, in primis per gli Ucraini, in questo momento è arrivare prima possibile ad una trattativa per raggiungere un accettabile compromesso e su quello far cessare la guerra.

Forse era meno peggio se c’era Trump.

19 sabato Mar 2022

Posted by leonardolugaresi in Senza categoria

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Cinque anni fa mi capitò di commentare molto favorevolmente un’intervista dell’allora presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, in cui egli, ad un giornalista che gli diceva che gli USA non dovevano cercare di andare d’accordo con la Russia perché “Putin è un killer”, replicava con candore che di killer in giro ce n’è un sacco e che «anche il nostro paese non è così innocente». Un momento di verità che lodai molto. Qui quel mio vecchio commento: https://leonardolugaresi.wordpress.com/2017/02/06/sorry-but-i-love-trump-today/. E qui il brano dell’intervista (il link indicato allora non funziona più): https://www.youtube.com/watch?v=y7ErFCqCXcg.

Oggi penso che quella posizione risulti ancora più scandalosa, perché che Putin sia un killer è conclamato, e nel clima di guerra che si è creato chi non lo ripete almeno tre volte al giorno si attira il sospetto di essere un suo agente. Sta bene. Ma spetta a un capo di stato dare del criminale e dell’assassino ad un altro capo di stato, come fa l’attuale presidente degli Stati Uniti, Joe Biden? La grammatica elementare della politica dice di no: lo si può fare solo se si sta facendo, o si ha intenzione di fargli guerra – e di fargli guerra per debellarlo, non semplicemente per indurlo a più miti consigli.

La retorica della guerra del bene contro il male, che qui da noi stiamo fomentando con un ardore del tutto simile a quello che addebitiamo al “nemico”, è pericolosissima. Per questo, le miti, realistiche e sagge parole di Trump (sì, proprio lui, il puzzone pessimo massimo, il cialtrone, il facile bersaglio di tutte i sarcasmi degli intelligenti e dei buoni …) andrebbero prese molto sul serio. Putin è cattivo, ma noi non siamo buoni. A meno che non si voglia fare una guerra totale (id est: nucleare) – ma in questo caso bisogna dirlo ai popoli, se no che democrazie siamo !? – con lui bisognerà trattare. E per trattare, bisogna almeno fare finta di “rispettare” la controparte. Che sia un killer, lo pensiamo tutti. Noi privati, possiamo anche permetterci di dirlo. I governi, direi proprio di no.

Un amico in Paradiso spiega a Dante perché «la traccia [n]ostra è fuor di strada» (#Dante, Paradiso, canto VIII)

18 venerdì Mar 2022

Posted by leonardolugaresi in Dante per ritrovarsi

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#Dante, creazione, diversità, educazione, società

Il terzo cielo, di Venere, è quello dell’amore: non solo il «folle amore» dei sensi che gli antichi, sbagliando, credevano derivasse da quella dea (vv. 1-3: «Solea creder lo mondo in suo periclo / che la bella Ciprigna il folle amore / raggiasse, volta nel terzo epiciclo»), ma ogni forma di attrazione che porta gli uomini a cercarsi, toccarsi, adunarsi, entrare in rapporto tra loro, nel bene come nel male: “mettersi le mani addosso” – come si dice con un’espressione della lingua colloquiale, alla cui potenziale ambivalenza di solito non pensiamo – seguendo l’istinto che ci spinge ad abbracciarci, carezzarci oppure a picchiarci e ferirci sino a darci reciprocamente la morte. (Su questa ambivalenza, Tasso ha costruito una delle pagine di più intenso erotismo della nostra letteratura, con il combattimento fra Tancredi e Clorinda nel XII canto della Gerusalemme Liberata). Perciò non ci stupirà troppo se qui, nell’VIII canto del Paradiso, si parla non di sesso ma di politica, giacché è sempre amore, come attrazione dei corpi, ciò che unisce gli uomini nella polis.

Piena d’amore è la società celeste in cui Dante si trova immerso, salendo al terzo cielo e trovandosi attorniato da una miriade di «lucerne» o «lumi divini» che gli fanno festa: «Tutti sem presti / al tuo piacer, perché di noi ti gioi. // Noi ci volgiam coi principi celesti / d’un giro e d’un girare e d’una sete,/ ai quali tu del mondo già dicesti: // ‘Voi che ‘ntendendo il terzo ciel movete’; / e sem si pien d’amor, che, per piacerti, / non fia men dolce un poco di quïete» (vv. 32-39). La luce che si rivolge a Dante con queste parole è Carlo Martello, figlio del re di Napoli Carlo II d’Angiò, morto poco più che ventenne nel 1295 prima di poter succedere al padre. Il nostro poeta può averlo conosciuto nel corso di un suo soggiorno a Firenze, e forse qui un po’ millanta come un’amicizia stretta quella che magari sarà stata più una simpatia o un cenno di benevolenza del giovane principe verso l’intellettuale fiorentino. Non gliene facciamo un appunto: la simpatia di un personaggio importante, e prematuramente scomparso, da cui ci si attendeva di ricevere molti benefici, può ben valere, nel nostro ricordo, come una profonda amicizia. Al pari di Brunetto Latini, anche Carlo Martello, se fosse vissuto più a lungo, avrebbe fatto un gran bene a Dante (e al mondo, giacché sarebbe stato re): «Il mondo m’ebbe / giù poco tempo; e se più fosse stato, / molto sarà di mal, che non sarebbe. // […] // Assai m’amasti, e avesti ben onde; / che s’io fossi giù stato, io ti mostrava / di mio amor più oltre che le fronde» (vv. 49-51 e 55-57).

A questo punto apriamo l’atlante e scorriamo con Carlo la carta geografica dell’Europa, dalla Provenza al regno di Napoli, dall’Ungheria alla Sicilia, perlustrando i territori e i popoli soggetti alla sua casata, che sarebbero stati ben governati se il buon principe fosse vissuto. Al suo posto, purtroppo, ebbero la «mala signoria, che sempre accora / li popoli suggetti» (vv. 73-74) e «l’avara povertà di Catalogna» (v. 77) con cui suo fratello Roberto d’Angiò, futuro re di Napoli di lì a qualche anno avrebbe oppresso i suoi sudditi. Che tristezza! Sono sempre i migliori che se ne vanno troppo presto, pensiamo banalmente noi, e la banalità del pensiero non toglie amarezza alla constatazione. Il problema di Dante è un altro: «a dubitar m’hai mosso / com’esser può, di dolce seme, amaro» (vv, 92-93). Come può essere che la pianta buona dia frutti cattivi – come spesso ci pare di vedere, benché il vangelo lo escluda – e un figlio abbia un’indole del tutto diversa dai genitori, o dal fratello (come nel caso di Carlo Martello e Roberto d’Angiò)?

La spiegazione viene, ampia, chiara e solenne come il corso di un grande fiume, al modo delle altre grandi lezioni della scuola del Paradiso (ricordate il primo canto: «Le cose tutte quante / hanno ordine tra loro …»?): «Lo ben che tutto il regno che tu scandi / volge e contenta», cioè DIo, «fa esser virtute / sua provedenza in questi corpi grandi» (vv. 97-99), cioè infonde la virtù della Sua provvidenza ai diversi cieli. «E non pur le nature provedute / sono in la mente ch’è da sé perfetta, / ma esse insieme con la lor salute:» (vv. 100-102), il che vuol dire che la perfetta mente divina provvede non solo all’essere ma anche alla salvezza di tutte le nature create, «per che quantunque quest’arco saetta / disposto cade a proveduto fine, / sì come cosa in suo segno diretta» (vv. 103-105). Dunque nessuno è sbagliato, nessuno è “fatto male”, nessuno, nell’infinita varietà dei caratteri e dell inclinazioni, può essere considerato uno scarto o uno “scherzo di natura”. Nessuno può dire di sé, o di un altro: sono un disastro, sei un disastro (cfr. v. 108: «ruine»). Prendiamo atto, anzitutto, di questa positività previa, e facciamo nostra questa affermazione basilare della bontà della creazione.

I problemi nascono nella società. Anche la società, in sé, è cosa buona («Or di’: sarebbe il peggio / per l’omo in terra, se non fosse cive?», vv. 115-116. Non c’è neanche bisogno di chiederlo, risponde Dante, certo che sì). Ma la società non può esistere «se giù non si vive / diversamente per diversi offici» (vv. 118-119). Il mondo (umano) è bello perché è vario, e al mondo (umano) c’è posto per tutti: questi i cardini di una sana Weltanschauung “cattolica”, che apre alla serenità di una vita in cui «un nasce Solone e altro Serse, / altro Melchisedèch e altro quello / che volando per l’aere il figlio perse» (vv. 124-126). C’è chi nasce per fare un mestiere e chi un altro, ma un mestiere c’è per ciascuno. Le qualità, però, sono strettamente personali: i cieli non le distribuiscono all’ingrosso, per famiglia o per gruppo. Il vero problema, e il punto dove gli uomini sbagliano, è riconoscere e assecondare l’indole di ognuno, perché «Sempre natura, se fortuna trova / discorde a sé, com’ogne altra semente / fuor di sua religion, fa mala prova. // E se ‘l mondo là giù ponesse mente / al fondamento che natura pone, / seguendo lui, avrìa buona la gente. // Ma voi torcete a la religione / tal che fia nato a cignersi la spada, / e fate re di tal ch’è da sermone; // onde la traccia vostra è fuor di strada» (vv. 139-148).

Credo sia stato Sartre a dire che “quando i padri hanno dei progetti, i figli hanno dei destini” (che non sono quasi mai felici). Benché di Sartre, la frase è azzeccata.

A scuola in Purgatorio: è uscito il secondo diario del nostro viaggio con #Dante.

16 mercoledì Mar 2022

Posted by leonardolugaresi in Dante per ritrovarsi

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#Dante, Purgatorio

L’anno scorso, in piena pandemia; quest’anno, nel pieno di una guerra e con la minaccia di un’altra ancor più terribile: che senso ha pubblicare i nostri piccoli diari di viaggio mentre intorno a noi infuriano nel mondo i cavalieri dell’Apocalisse?

Il faut cultiver notre jardin: la morale di Candido, una volta compreso che l’ottimismo di Pangloss è continuamente smentito dalla storia, non basta a darci una risposta, se non la intendiamo in un modo più profondo di quanto non faccia lui. Sì, bisogna coltivare il proprio giardino, ma non solo perché non c’è altro che possiamo fare; e se questo non è “il migliore dei mondi possibili” è perché sappiamo che è possibile un altro mondo, in questo mondo, infinitamente migliore. Se così non fosse, non lo chiederemmo tutti i giorni dicendo a Dio: «venga il tuo regno». Solo che, per quanto sta in me, il regno di Dio viene nel mondo venendo in quel mondo che è la mia anima. Mettendo ordine, sapienza, bellezza in quel mondo che è dentro di me, esso realmente “viene nel mondo”. E nulla può impedire questo avvento: «forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?» (Rom 8,35).

L’abbiamo detto sin dall’inizio: leggiamo la Commedia per questo, e per nulla di meno di questo. (E si sono scritti e pubblicati libri e articoli su Dante, come su altri argomenti belli e “inutili”, anche sotto le bombe della seconda guerra mondiale).

Ho visto che il precedente libretto Andare all’Inferno (e uscirne), Mc Edizioni, Milano 2021 – che ora è stato ristampato – è servito a qualcuno per fare il gran viaggio. Per questo mi sono convinto a pubblicare anche questo: Andare a scuola in Purgatorio (e passare gli esami). Stessa pasta, stesso taglio, stessa cottura.

Chi vuole, lo potrà trovare in libreria tra qualche giorno, già ora sui siti online (Amazon, IBS eccetera), e anche direttamente dall’editore – (che ringrazio per il coraggio di aver assunto l’impresa) – con sconto e spedizione gratuita, qui: https://www.medusa-mcedizioni.com/libri/andare-a-scuola-in-purgatorio/.

Provo a ragionare sulla guerra.

14 lunedì Mar 2022

Posted by leonardolugaresi in Senza categoria

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Non sono esperto di nulla che sia pertinente alla guerra attualmente in corso in Ucraina e incombente sul resto del mondo, e so fare solo dei ragionamenti elementari. Tento, con quelli, di chiarire a me stesso che posizione dovrei prendere, per quel quasi nulla che vale.

Ogni azione umana ha uno scopo (o più di uno, che fa lo stesso). Anche quelle che sembrano interamente determinare da una causa e, per così dire, moralmente necessitate (“non posso non farlo”), in quanto sono vere re-azioni umane, e non semplici riflessi, non vengono mai esaustivamente comprese dalla categoria di causa, ma hanno sempre un essenziale riferimento al fine. Ogni azione, perciò, deve essere giudicata a) in base al fine che si propone; b) per l’idoneità a raggiungerlo. Se il fine è cattivo (assolutamente, o relativamente al sacrificio di altri beni più grandi che il suo conseguimento comporta) l’azione è cattiva; ma se il fine è buono e l’azione non è idonea a conseguirlo, essa, per quanto ammirevole possa apparire in sé, è sbagliata e non devo approvarla

Non c’è alcun dubbio che il governo ucraino si stia difendendo da una aggressione armata da parte del governo russo (dico i governi, e lascio fuori i popoli, perché politicamente i popoli esistono in quanto sono rappresentati dai loro governi, o dai “contro-governi” che esprimono per lottare contro i governi ufficiali quando non li sopportano più. Se si esce dal terreno della politica, i popoli sono entità ideali, materialmente composte da tante persone, ciascuna delle quali ha il diritto-dovere di decidere per la propria vita e per quella dei minori o minorati di cui è responsabile). Il governo russo è assolutamente dalla parte del torto, perché nel momento stesso in cui fa la guerra ad uno stato sovrano (oltretutto senza dichiararla, così sottraendosi al diritto internazionale di guerra), tutte le ragioni che potrebbe avere – e di cui qui non parlo anche perché sono incompetente a giudicarle – diventano irrilevanti di fronte al fatto, enorme e ingiustificabile, di aver mosso guerra.

Mi chiedo però: qual è il fine della resistenza ad oltranza finora ordinata dal governo ucraino? La prima, ovvia risposta sembra essere: “fermare l’aggressore”. In questo caso, il fine è certamente buono, pare anzi moralmente doveroso da parte di un governo, ma credo sia convinzione unanime dei competenti di queste cose che l’azione non è affatto idonea a conseguirlo. La sproporzione delle forze è tale, infatti, che pare certo che la resistenza ucraina sia destinata ad essere piegata. La perdita di vite umane, le sofferenze e i danni materiali causati al paese da tale decisione non sono quindi compensati dal conseguimento dello scopo, in sé sacrosanto, che la decisione si prefigge. Dunque essa è sbagliata e un governo che la prende agisce, a mio parere, in modo immorale perché infligge ai governati che dovrebbe proteggere danni e sofferenze gratuiti.

Si può pensare che il proseguimento della resistenza ad oltranza serva ad un altro scopo: far pesare la conquista al nemico in una misura tale da indurlo a trattare prima di averla completata. Riguardo a questo non credo che ci sia una convinzione altrettanto unanime. Mi sembra di aver capito che vi è chi lo crede possibile, anche se la maggioranza dei competenti ritiene che il governo russo non fermerà l’aggressione finché non avrà piegato la resistenza ucraina e solo dopo “tratterà”. C’è però un margine di ragionevolezza che, in quest’ottica, può giustificare sia la decisione di resistere che l’appoggio esterno dei paesi occidentali ad essa.

Molti però pensano che il fine della resistenza ad oltranza sia un altro: coinvolgere i governi dei paesi occidentali nella guerra, affinché intervengano militarmente a fianco del governo ucraino. Il fine è buono? A me pare di no. Anche senza voler discutere se vi siano le condizioni che, secondo la morale cattolica, rendono lecita la guerra, basta osservare che l’intervento militare dei paesi occidentali, limitato ovviamente all’uso di “armi convenzionali”, per logica può avere solo due conseguenze: o essere inefficace, perché anche con l’ausilio di forze occidentali la resistenza ucraina viene comunque sconfitta, e allora risulterebbe un errore averlo prestato; oppure essere efficace, ma allora ci si deve chiedere che cosa farebbe il governo russo nel momento in cui si trovasse a perdere la guerra.

Il problema è che la risposta a questa domanda è una scommessa, né più né meno. I fautori di questa azione, infatti, pensano che essa: a) indurrebbe il governo russo a trattare, da posizioni di debolezza; b) provocherebbe una destabilizzazione di quel regime. Può darsi, io non lo so. Ma non lo sanno neanche loro. Il governo russo ha già detto che cosa farà: ricorso alle armi nucleari. Lo farà veramente? Ripeto che non lo so, ma osservo che i fautori dell’intervento armato sono anche gli stessi che più convintamente affermano: a) che Putin è un dittatore; b) che Putin è pazzo. Sul primo punto, ci sono pochi dubbi, il secondo direi che è quantomeno opinabile. Ma allora, dal loro stesso punto di vista, la questione deve diventare: quanto è ragionevole scommettere sul comportamento di un pazzo dotato di pieni poteri, che è in grado di provocare la distruzione di questo mondo? (Perché questo sarebbe una guerra nucleare: la distruzione di questo mondo. Non del mondo in quanto tale, ma di quello che conosciamo sì). È moralmente accettabile una scommessa di questo genere?

Quindi quello che penso io è che il governo ucraino dovrebbe sapere con assoluta certezza che i paesi occidentali non si spingeranno mai, in nessun caso, oltre la linea dell’appoggio esterno, e regolarsi di conseguenza.

Una volta chiusa questa crisi (meglio che si può, ma in un modo che per forza sarà insoddisfacente, perché nelle condizioni date non può fare di più), penso invece che ci dovrebbe essere un ripensamento radicale di tutta la politica dei governi europei per trovarsi diversamente preparti ad affrontare le prossime. Ma questo è un altro discorso, troppo alto per me.

Ringrazio sin d’ora chi mi mostrerà la fallacia di questo ragionamento, perché davvero non so se sia buono. È solo quello che arrivo a fare io.

«Dio infatti ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per essere misericordioso verso tutti» (Rom 11, 32)

10 giovedì Mar 2022

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grazia, misericordia, peccato

Ora che il tempo si è fatto breve, e mai quaresima fu più necessaria, mi permetto di consigliare a chi passa di qui la visione di questo film (russo). Io l’ho rivisto qualche sera fa e ne ho tratto un vero beneficio spirituale. Mi auguro che sia così anche per altri:

Per chi fosse interessato. Un convegno in cui si parlerà di cose attuali (nonostante l’apparenza)

08 martedì Mar 2022

Posted by leonardolugaresi in Senza categoria

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cristiani nel mondo, Padri, Tertulliano

Giovedì 17 marzo esco dall’eremo cesenate e vado a Bologna, alla Facoltà Teologica dell’Emilia-Romagna, per partecipare a questa mattinata di studi, che si può seguire anche da remoto. Il pensiero patristico è un pensiero potente e ricco di spunti estremamente pertinenti al problema della presenza dei cristiani nel mondo, anche in questo mondo del 2022. (Forse basterebbe dire che è un pensiero, se si capisse il peso di questa parola e la sua latitanza nel nostro miserevole orizzonte politico, sociale e culturale).

Chi fosse interessato, trova qui tutte le informazioni:

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