Ecco il link al video di una mia relazione a un convegno di “Patres” tenuto nel maggio scorso a Milano, alla Biblioteca Ambrosiana. Si parla di un gran libro: La conoscenza storica, di H.I.Marrou. (Dal minuto 7.30 circa)
28 lunedì Set 2015
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in21 lunedì Set 2015
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inCome fece, quel vecchio maestro, a catturare l’attenzione (e molto di più: il cuore) del giovane Gregorio (che, di suo, voleva andare a Beirut, studiare diritto e fare carriera)?
«Egli affermava che senza applicarsi alla filosofia (μὴ φιλοσοφήσαντι) è impossibile avere in modo perfetto il giusto atteggiamento (εὐσεβεῖν) verso il Signore dell’universo – quel senso religioso che solo l’uomo, tra tutti gli esseri che vivono sulla terra, ha avuto l’onore e la dignità di possedere; e ogni uomo, saggio o ignorante che sia lo possiede, a meno che non abbia completamente perduto il senno per qualche malattia. Finché, avendocelo ripetuto tante volte, alla fine ci fece fermare, come se fossimo stati affascinati, attaccati a lui dalle sue arti senza artificio, dai suoi discorsi, io non so come, con una specie di forza divina.
Infatti ci colpì con il pungiglione dell’amicizia: difficile da estirpare, sottile, penetrante […]»
[Gregorio Taumaturgo, Ringraziamento a Origene, 79-81]
Due note: la «filosofia» di cui si parla qui non è quella materia scolastica, sovente noiosa e improbabile, da cui gli studenti liceali hanno il privilegio di essere afflitti. È, come intendevano gli antichi, un percorso di educazione della ragione, condotto con la compagnia e sotto la guida di un maestro, da cui il discepolo si aspetta un cambiamento della vita.
Il «pungiglione dell’amicizia» è un’espressione felice, perché l’amicizia di un maestro se non ferisce, se non dà fastidio, se non appare, all’inizio, come un corpo estraneo che però, poco a poco, sentiamo più nostro di noi stessi (noi quali eravamo prima di incontrarlo) … che amicizia è?
15 martedì Set 2015
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inUna piccola opera che consiglio di leggere a tutti coloro che hanno a che fare con la scuola è il Discorso di ringraziamento a Origene scritto, secondo la tradizione, da san Gregorio Taumaturgo, l’evangelizzatore del Ponto e della Cappadocia, che in gioventù fu per alcuni anni discepolo di Origene a Cesarea, a metà del III secolo.
Lì si vede, attraverso il racconto dell’esperienza di un allievo, che cos’è un metodo educativo e anche un curriculum scolastico autenticamente cristiano.
Ecco come Gregorio rievoca il primo incontro col maestro: «Egli ci accolse fin dal primo giorno: il primo, effettivamente e, devo dirlo, il più prezioso di tutti. Infatti allora, per la prima volta, cominciò per me a risplendere il vero sole. Noi, da principio, come fiere selvatiche, pesci o uccelli che, caduti nei lacci e nelle reti, tentano di fuggire via, desideravamo allontanarci per andare a Beirut [Beirut era l’originaria meta di Gregorio: c’era la più famosa scuola di diritto dell’Oriente e ci si andava per fare soldi e carriera] o per tornare in patria. Egli […] lodava la filosofia e gli appassionati studiosi di questa disciplina con elogi ampi, frequenti, adeguati. Asseriva che soltanto coloro i quali trascorrono una retta esistenza conducono la vita che si addice a persone dotate di ragione: infatti si rendono conto, da una parte, di chi essi sono e, dall’altra, dei beni reali che l’uomo deve perseguire e dei mali veri dai quali rifuggire.
Biasimava l’ignoranza e tutti gli ignoranti. […] Smaniano, anelano alla ricchezza, alla fama, agli onori popolari, al benessere del corpo, come se in tutto questo fosse la felicità. Hanno una stima immensa di questi beni e, di conseguenza, delle professioni che ci mettono nella condizione di procurarceli: la carriera nell’esercito, la professione forense, la scienza delle leggi.
Egli con grande abilità trattava argomenti capaci di scuoterci nell’intimo, perché mostravamo di trascurare quello che, come dice lui, è il più importante dei nostri beni: la ragione. […] La sua parola ci aveva trafitti come un dardo, fin dal primo momento: c’era in essa una mescolanza di soave grazia, di persuasione e, direi, di forza di costrizione».
Io, Ragione, Bene e Male: sono le poche cose essenziali di cui mette conto parlare. La scuola di Origene non attrae con mirabolanti “piani dell’offerta formativa”, gadget tecnologici e promesse di lauti sbocchi professionali (per quello, come abbiamo detto, era meglio andare a Beirut). Si propone soltanto di insegnare a «non trascurare il più importante dei nostri beni: la ragione».
08 martedì Set 2015
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in«Quanto si è affaticato Platone sulla linea e l’angolo e il punto, e sui numeri pari e dispari, e sulle ugualgianze e disuguaglianze, e su altre simili “ragnatele” (anzi, le ragnatele sono più utili alla vita rispetto a quelle) e, senza aver portato nessun frutto né piccolo né grande, ha finito la sua vita? E quanto si è impegnato per dimostrare che l’anima è immortale, ma non ha detto nulla di chiaro ed è morto senza avere convinto nessuno dei suoi ascoltatori? La croce, invece, per mezzo di uomini ignoranti, ha persuaso e ha trascinato tutto il mondo, e non a proposito di cose contingenti, ma parlando di Dio, e della fede secondo verità, e della vita secondo il Vangelo, e del giudizio che viene: ci ha reso tutti filosofi, anche i rozzi e gli ignoranti»
[Giovanni Crisostomo, Omelia IV sulla Prima Lettera ai Corinti, 3 (PG 61, 34)]
Ok, non è vero che quelle di Platone siano inutili ragnatele; la geometria è importante (oltre che bella), e sull’immortalità dell’anima avrà pure convinto qualcuno, nel corso della storia della filosofia … Quanto alla croce che trascina tutto il mondo (il verbo greco usato da Crisostomo – se la lezione è corretta – sarebbe αποσπάω, che vuol dire “strappare, tirare via”), forse sarà sembrato ai tempi suoi (fine IV secolo) quando “il mondo” (cioè l’impero romano) stava diventando cristiano, ma oggi …
Però:
03 giovedì Set 2015
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inÈ stato papa dal 590 al 604. Lo festeggiamo oggi, 3 settembre, non perché questo sia il suo dies natalis, cioè il giorno della morte, ma perché in questo giorno fu eletto papa. È una rimarchevole eccezione tra i santi (l’altro caso che mi viene in mente è sant’Ambrogio, che fu eletto vescovo di Milano il 7 dicembre) e ha a che vedere con la forma particolare della sua santità: un po’ come se la chiesa ci dicesse che Gregorio si santificò definitivamente facendo il papa.
In effetti non lo voleva fare: “nato bene” (aristocrazia romana, di quella vera: gens Anicia, niente meno), – il che voleva dire un’ottima formazione classica (anche se a volte finge di disprezzarla), rapporti e conoscenze giuste, lo stile di un gran signore che sa sempre come far stare tutti al loro posto – aveva fatto la sua brava carriera politica fino a diventare praefectus Urbis (qualcosa più di Marino, Gabrielli, Zingaretti e mezzo governo messi insieme) fino al 578, quando, alla soglia dei quarant’anni, decise di lasciare tutto per dedicarsi alla vita monastica, nel suo palazzo al Celio (dove adesso c’è appunto la chiesa di san Gregorio al Celio, vicino al Circo Massimo).
E già questo … Un politico, un potente che si ritira. Veramente. Non che dice che lo farà, ma che lo fa sul serio. Cose che a quel tempo succedevano.
Il seguito della storia è facile da immaginare: la chiesa non lo lascia in pace, il papa Pelagio II gli dà subito degli incarichi e per sei anni diventa addirittura suo rappresentante alla corte imperiale di Costantinopoli (sarebbe come dire molto di più del più importante nunzio apostolico di oggi). Tornato a Roma, dopo pochi anni, alla morte di Pelagio tutti quanti (popolo, clero e senato) vogliono lui a succedergli. Lo eleggono e poi mandano la nomina a Costantinopoli perché l’imperatore la approvi. Nel frattempo, Gregorio le tenta tutte per sottrarsi: si nasconde, briga perché da Costantinopoli non arrivi il nulla osta … niente, non c’è rimedio: il 3 settembre 590 viene consacrato in San Pietro.
Roma e l’Italia, in quel momento, sono un mezzo disastro: da una ventina d’anni sono arrivati i Longobardi, dei migranti (armati, ma sempre migranti erano, con donne e bambini al seguito) che si sono insediati – con facilità quasi irrisoria – in moltre regioni di un paese già stremato dalla guerra greco-gotica. Da Cividale del Friuli dilagano fino a Benevento e in mezza Italia ormai comandano loro: all’impero romano (ai “nostri” verrebbe da dire, se non fosse che probabilmente a molti “italiani” di allora quell’impero che aveva sede a Bisanzio e parlava greco doveva ormai risultare lontano e antipatico quanto a noi sta diventando l’Europa) restavano solo l’esarcato di Ravenna (cioè la Romagna, che per questo si chiama così), le Marche, Roma e il suo territorio e l’Italia costiera meridionale (che un po’ greca lo era sempre stata).
A Roma, in particolare, l’anno che precedette la sua elezione a papa era stato orribile: ripetute piene del Tevere, carenza di approvigionamenti, epidemie, calo della popolazione … è in questa situazione che il riluttante Gregorio si carica del fardello di servus servorum Dei, come lui stesso (e da lui in poi tutti i papi) si definì (mettendo a posto, così, anche il patriarca di Costantinopoli che, pochi anni prima, si era attribuito l’appellativo di «patriarca ecumenico»: e solo un uomo di superiore intelligenza e per di più un gran signore poteva avere il colpo di genio di battere la magniloquenza con l’umiltà).
Che dire dei quattordici anni in cui letteralmente si consuma a fare il papa? Qui si danno pillole, e quindi non possiamo dilungarci troppo. Forse basta dire così: per Cristo, cioè perché gli uomini potessero conoscere Cristo, Gregorio ha fatto di tutto. Ma proprio di tutto. Per dirne una: quando nel giugno del 592 i Longobardi si presentano sotto le mura di Roma e la città è a rischio di invasione, chi ci pensa? L’esarca di Ravenna, cioè il più alto rappresentante dell’imperatore in Occidente? Hai voglia di aspettare: sarebbe come oggi aspettare che si muova l’ONU (o il governo italiano) … La difesa della città la organizza lui. Ma è solo un esempio: a leggere il suo epistolario si resta impressionati perché si occupa davvero di tutto.
Vuol dire che, in fin dei conti, anche lui era tornato a fare il politico? Niente affatto. Significa invece che per un uomo come lui, impregnato di realismo “romano”, fare il vescovo di Roma voleva dire sentirsi universalmente impegnato con tutto ciò serve perché gli uomini vadano a Cristo. Non solo la religione, ma anche la cultura, la politica, l’economia eccetera eccetera.
Pqer questo sulla sua tomba lo hanno definito consul Dei (ed era un gran complimento).