Non volevo dire nulla sulla “famosa questione” del baciamano (o bacianello, se preferite) rifiutato da papa Francesco a Loreto, argomento che ha avuto un certo rilievo in questi giorni all’interno del mondo mediatico. Molto meno fuori, suppongo, nel mondo reale dove le persone mangiano dormono lavorano amano fanno le guerre hanno fame hanno sete pregano fanno i peccati si pentono tornano a farli … eccetera eccetera: lì non credo che ci sia molto interesse per una quisquilia del genere.
Però il fatto che il portavoce vaticano abbia sentito il bisogno di intervenire sulla faccenda, dichiarando che il papa gli aveva detto di aver agito così “per motivi igienici”, mi ha colpito. Se sono ironici (sulla scia di quell’umorismo un po’ surreale con cui Benedetto XVI, ad esempio, al giornalista che gli chiedeva come mai continuasse a vestirsi da papa anche dopo la rinuncia rispose che “al momento non c’erano altre vesti disponibili”) chapeau! La trovo una risposta assolutamente geniale a domande sciocche e importune. Se invece facessero sul serio, intendendo essere creduti, mi dispiacerebbe molto per entrambi, ma sarebbero sprofondati nel ridicolo. E questo, da cattolico, mi addolorerebbe sinceramente.
La verità sull’episodio di Loreto è molto semplice e non c’è bisogno di chiederla al portavoce vaticano, basta guardare il video integrale e non lo spezzone di pochi secondi o al massimo di un paio di minuti che è circolato in rete e su cui in tanti hanno disquisito, scomodando anche le ossa dei paladini.
Lo si trova qui: https://www.youtube.com/watch?v=Wu2l1VdetIg
Se si ha la pazienza di guardare con attenzione dal minuto 00.50.55 al minuto 1.03.44 si capisce bene che cosa è successo. Finita la messa, il papa riceve il saluto di una fila interminabile di persone: si comincia coi frati, poi un po’ di vescovi e cardinali, poi una quantità di suore e infine un tot di laici. Per ciascuno di loro è evidente che quel saluto è importantissimo, è ovvio che ci tengono moltissimo, e tutti hanno qualcosa da dire al papa, c’è chi deve far benedire il rosario, chi lascia un biglietto, chi gli deve parlare all’orecchio, chi vuole abbracciarlo; quasi tutti vogliono baciare la mano (o, se si preferisce, l’anello) come si usava una volta e ancora, a quanto pare, si usa.
Il papa, per una decina di minuti, lascia fare. Quindi non è affatto vero che abbia rifiutato di farsi baciare l’anello. Men che meno per motivi igienici! L’anello (o la mano) glielo baciano in parecchi. Solo che, ad un certo punto (precisamente al minuto 1.00.58) si scoccia. Perché è puramente e semplicemente questo che accade. Non ne può più, perde la pazienza, sembra quasi non veder l’ora che finisca la sfilata e infatti da quel momento ritrae bruscamente la mano ogni volta che tentano di baciargliela, ma non si limita a questo: spinge via gli interlocutori, come sollecitandoli a sbrigarsi.
L’effetto di quegli ultimi tre minuti è indubbiamente molto sgradevole, ma basarsi solo su quelli per criticare il comportamento del papa è sbagliato e ingiusto nei confronti di Bergoglio. Osservando l’intera scena, la mia reazione è un’altra. A me sembra abbastanza evidente che quel quarto d’ora di saluti, nel mezzo di una giornata faticosa, sia – per un uomo di 82 anni che, al contrario di ciò che dicono in tanti, non mi pare affatto portato all’empatia e alla comunicazione diretta con le persone – una fatica. E lo capisco perfettamente. Tu sei il papa, e sei uno, sei lì da solo, con tutti i tuoi limiti umani: e di fronte hai idealmente il mondo intero, sette miliardi di persone, o quantomeno un miliardo di cattolici, concretamente alcune decine di persone che, nei pochi secondi che ti passano davanti, pretendono la tua totale attenzione, ambiscono ad entrare in rapporto con te, vogliono il tuo cuore. E questo tutti i giorni che Dio manda sulla terra. Non è facile da sopportare una cosa del genere.
Io ho parlato una sola volta a tu per tu con un papa, e fu quando Giovanni Paolo II venne in visita nella mia città, nel 1986. Ricoprivo allora un piccolissimo incarico pubblico, che mi diede l’opportunità di essere presente alla vista che il papa fece alla Biblioteca Malatestiana e lì di incontrarlo in privato, insieme a poche altre persone. Ricordo la stanchezza sul suo volto al momento di entrare nell’edificio (la sensazione che ebbi fu che non avesse idea di dove lo stavano portando); ricordo quel volto illuminarsi e farsi intensissimo quando vide e ascoltò che cos’era l’aula del Nuti; ricordo che fece un breve, ma nient’affatto banale discorso sul rapporto tra fede e cultura umanistica; ma soprattutto ricordo (e non me lo dimenticherò finché campo) che quando arrivò il mio turno di salutarlo successe una cosa che mi sconvolse. Successe che, siccome io invece di limitarmi a stringergli la mano (o a baciargliela, onestamente questo non me lo ricordo) come gli altri, gli dissi qualche parola di gratitudine per quanto faceva per aiutarci a rendere la fede cultura, lui mi ascoltò, mi rispose e stette per un attimo ad aspettare che io a mia volta dicessi qualcos’altro. Fui talmente sorpreso da questo suo comportamento che restai letteralmente senza parole, come il sarto dei Promessi Sposi; lui dopo qualche secondo sorrise, come per dire che comunque ci eravamo capiti, e proseguì. Considerai allora e considero tuttora eccezionale, quasi incredibile, che quell’uomo – l’uomo che in tutta la storia dell’umanità ha visto ed è stato visto direttamente dal maggior numero di esseri umani – fosse stato capace, per quell’infinitesimale porzione di tempo, di dedicare a uno sconosciuto, che mai più avrebbe visto in vita sua, un’attenzione reale, cioè avesse realizzato un incontro. Sì, ero stato io a dirgli qualcosa, ma non mi aspettavo che ascoltasse, né tanto meno che rispondesse veramente e che si disponesse ad ascoltare di nuovo. Ma lui era lì. (I leader, quando fanno i “bagni di folla”, non sono lì, non incontrano nessuno, non ascoltano veramente nessuno, e se rispondono dicono frasi fatte).
Perché evoco questo ricordo? Non per fare dei confronti, ma per dire che trovo del tutto normale quello che si vede nel video di Loreto: la gente va a salutare il papa e tutti si aspettano da lui qualcosa. Ciascuno, in fondo al cuore, vorrebbe una parola, un gesto solo per lui. Ora, mi sembra del tutto evidente che quella parola, quel segno di incontro personale per quanto minimo, il papa, il più delle volte, non sia in grado di darlo. Se guardate con attenzione, vedete che solo in pochi casi parla effettivamente con le persone; per lo più rimane fermo, con un sorriso artificiale stampato in faccia (ma gli occhi non ridono), con un impaccio di cui non gli faccio assolutamente una colpa, perché è umano, troppo umano. Finché a un certo punto non ce la fa più e decide di affrettare la fine di quella teoria di inchini e baciamani. Tutto qui.
L’episodio di Loreto è minimo e insignificante, ma se può essere lo spunto di una riflessione, questa non deve riguardare tanto la personalità di Jorge Mario Bergoglio, che può piacere o dispiacere a seconda delle soggettive inclinazioni di ognuno, quanto la trasformazione del ruolo del papa e dello stile della sua azione pubblica, avvenuta negli ultimi decenni. Non è questa la sede per trattare un tema così importante (né io sarei in grado di farlo adeguatamente), ma osservo solo questo: il papa sempre di più è diventato, nella percezione comune, un leader mondiale. Da “semplice” successore di Pietro nella funzione di confermare nella fede i suoi fratelli, è stato trasformato in un leader (obbligatoriamente) carismatico, su cui si concentrano le attese delle folle. Questo, fra le altre cose, lo costringe ad assumere lo stile comunicativo dei leader: mani da stringere, bambini da baciare, frasi e gesti ad effetto per esaltare le folle, essere sempre presenti dappertutto …
Conviene davvero?