Sto scherzando, ma non del tutto. Per spiegarmi devo prenderla un po’ alla larga.
Ho il privilegio di abitare nella stessa casa in cui sono vissuti i miei genitori e prima di loro i miei nonni paterni e prima ancora i bisnonni. Per quanto ne so, dovrebbe averla acquistata il padre di mia nonna intorno agli anni ottanta del XIX secolo. È un edificio modesto, di nessun pregio architettonico, ma molto vecchio e confesso che mi dà una certa soddisfazione sapere che i miei ci vivono da quasi un secolo e mezzo. Fino a qualche tempo fa immaginavo potesse essere stato costruito alla fine del Settecento, perché sapevo che nella mappa catastale del 1825 figurava già; però recentemente il mio parroco – che ha fatto approfondite ricerche d’archivio sulla storia della nostra parrocchia (dedicata a San Pietro) in occasione del settimo centenario della sua fondazione, avvenuta nel 1319 – mi ha fatto vedere che la mia casa, o quantomeno una costruzione che sorgeva esattamente nello stesso luogo, compare già in una mappa del Seicento.
Io abito esattamente nel punto in cui la carta (in basso) riporta un fabbricato posto ai confini della proprietà della parrocchia, proprio in corrispondenza del bivio tra la via Emilia e la via che conduceva al mare, cioè a Cesenatico. Siamo appena fuori dalla città, a pochi passi da Porta Santi (anticamente Porta Romana). Il parroco ritiene che la costruzione di un edificio in quella posizione “strategica” potrebbe risalire addirittura agli inizi del XIV secolo, quando appunto venne costruito il Porto Cesenatico, nel 1314, e fu sistemata la strada che ad esso conduceva e che in precedenza doveva essere poco più di un sentiero. A quell’epoca, però, la chiesa di San Pietro era un priorato monastico che preesisteva da secoli alla fondazione della parrocchia e la cui storia si intreccia con la congregazione dei canonici regolari di Santa Maria in Porto, di Ravenna. E podestà di Cesena in quegli anni era Ostasio da Polenta, mentre capitano del popolo era Guido Novello da Polenta, cioè due esponenti della grande famiglia ravennate che ebbe un ruolo così importante nell’ultima parte della vita di Dante.
Ora, la posizione di “casa mia”, ai confini della proprietà monastica e di fronte al punto di congiunzione di due importanti vie di transito, rende plausibile l’ipotesi che lì fosse collocata una sorta di foresteria o di ospizio per i viandanti, mentre il legame del priorato di san Pietro con Ravenna e gli interessi della famiglia da Polenta nelle cose cesenati rendono altrettanto plausibile l’ipotesi di una visita di Dante a Cesena proprio in quegli stessi anni (abbiamo già detto che i versi dedicati alla città nel XXVII canto sono la prova di una conoscenza diretta del luogo). Perché dunque vietarsi di immaginare che, se Dante è venuto a Cesena a svolgere qualche incarico per conto dei da Polenta abbia usufruito dell’ospitalità monastica di un’istituzione tanto legata a Ravenna e ai suoi signori?
Immaginazioni, lo so … però per quanto mi riguarda basta e avanza. È deciso: Dante ha dormito a casa mia!