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  • La chiesa e la crisi degli anni sessanta.

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Archivi Mensili: aprile 2018

La bella vita di Alfie Evans.

28 sabato Apr 2018

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Alfie Evans

C’è un’evidenza che, se abbiamo la lealtà e il coraggio di starle di fronte, ci mette in soggezione, ci fa quasi paura e forse ci induce ad abbassare lo sguardo con vergogna: che la breve, dolorosissima e misteriosa vita di Alfie Evans ha generato così tanto bene, cioè tanta verità e amore, quanto non ce ne sarà mai in quella, che auguriamo lunghissima ma che temiamo sordida, dei suoi nemici. E anche di quella, così distratta e soffocata, che viviamo noi, se non ci convertiamo.

Per questo, pur nel dolore (un dolore che sentiamo tutti e che non viene dalla carne e dal sangue, perché di Alfie non siamo parenti, anzi non l’abbiamo mai visto, ma abbiamo una Ragione per essere così uniti a lui e ai suoi genitori), abbiamo però anche l’umile audacia di dire quella che per il mondo è un’impudenza, se non una bestemmia: che la sua vita è stata bella, utile e santa.

Sarà mai così feconda di bene la vita, tanto per dire, del giudice Hayden o del vescovo MacMahon?

 

I vescovi inglesi e Gesù crocifisso.

26 giovedì Apr 2018

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Alfie Evans

«Noi affermiamo la nostra convinzione che tutti coloro che stanno prendendo decisioni angosciose riguardanti la sorte di Gesù Nazareno agiscono con integrità e per il bene di Gesù, secondo come lo vedono».

Se tanto mi dà tanto, questo è ciò che avrebbero detto i vescovi inglesi se fossero stati presenti a Gerusalemme, nell’anno 30, quando le autorità legittime di quel tempo misero legittimamente a morte, dopo un  processo, Gesù di Nazaret. Seguendo i protocolli!

L’arcivescovo di Liverpool, di suo, avrebbe forse aggiunto: «I am grateful for the medical and chaplaincy care which Jesus is receiving» – (Ed in effetti lo hanno pure idratato con la somministrazione di acqua e aceto) – «I know that they are doing everything that is humanly possible» – (Come non essere d’accordo? Più di così non si sa che cosa potessero fargli) – «And our prayer at this difficult moment is that the Lord will give everyone the spiritual strength to face the immediate future» (E su questo non ci piove).

Viva la resistenza!

25 mercoledì Apr 2018

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Alfie Evans, resistenza

Di fronte a tutto quello che è accaduto e sta accadendo nella vicenda terribile di Alfie Evans, come si può continuare a sostenere che “fare battaglie non serve”, come tanti oggi dicono (anche nella chiesa)?

Se non ci fosse stata la resistenza del piccolo Alfie, dei suoi giovanissimi genitori, di tanti altri che, in tutto il mondo, sono stati provocati, messi in crisi dal suo caso e spinti a prendere posizione, fino a smuovere anche alcuni tra i potenti del mondo … se le cose fossero andate come  avrebbero voluto gli ignavi vescovi d’Inghilterra, in tutta questa vicenda ci sarebbe stato solo il male, solo la menzogna, solo la disumanità idiota del potere medico-giudiziario assistita dalla connivenza pavida di quello ecclesiastico.

Quel male c’è tutto, anche adesso, e non sarà possibile eliminarlo. Però, grazie alla resistenza di chi non è disposto ad abbracciarlo, esso non ha vinto. Perché nella vicenda straziante di Alfie, possiamo ben dirlo già da ora, c’è anche del bene (e quanto!), c’è una verità dolorsamente amata e difesa, c’è gente unita da un elementare principio di adesione alla realtà (che è il principio che ultimamente può salvarci: come diceva don Giussani, “la realtà non mi ha mai tradito”).

Come si fa, oggi, a non vedere che resistere serve?

Gli inutili vescovi inglesi.

22 domenica Apr 2018

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Alfie Evans, sale della terra

Da quando ho letto la dichiarazione della conferenza episcopale inglese sul caso di Alfie Evans (il cui testo originale si trova qui: http://www.catholicnews.org.uk/Home/News/Alfie-Evans, emessa dopo che il papa aveva pronunciato pubblicamente le parole cristiane di cui si è detto nel post precedente, mi sono chiesto se valesse la pena scriverne qualcosa.

Da cattolico, rispetto quei vescovi, riconosco la loro legittima autorità, credo che amministrino validamente i sacramenti eccetera eccetera, però questo non mi impedisce di pensare che su di loro sia già stata detta da Gesù stesso una parola decisiva: «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente» (Mt 5,13).

Non sono cattivi, sono inutili.

«Gente di nessuno»? (Alfie Evans e tutti noi)

19 giovedì Apr 2018

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In uno dei passi più tenebrosi – e perciò più luminosi all’intelligenza cristiana della realtà – dei Promessi sposi, nel capitolo XI, don Rodrigo, mentre si accinge a portare alle estreme conseguenze la gran porcata che sta facendo a Lucia e a Renzo, affronta tra sé e sé la paura che il suo comportamento gli ispira e si conforta con queste parole: «Chi si cura di costoro a Milano? Chi gli darebbe retta? Chi sa che ci siano? Son come gente perduta sulla terra; non hanno né anche un padrone: gente di nessuno».

Così pensa il potere mondano, e così parla quando non finge: quando non ciancia più di “dignità umana”, “valori”, “diritti inalienabili” e “democrazia”, e bada solo alla forza. Chi non ha «neanche un padrone» non è niente, è «gente di nessuno». Da soli, siamo tutti “gente di nessuno”, agli occhi dei padroni del mondo. Come Alfie Evans, che è un piccolo bambino malato, e i suoi genitori che sono poco più che ragazzi, siamo anche anche noi che siamo adulti, e ci crediamo “scafati”; noi che contiamo puerilmente sulle risibili sicurezze della nostra posizione nella società, dei nostri soldi, delle nostre relazioni. Di fronte al Potere, siamo gente di nessuno.

Ieri è stata una giornata importante, per la chiesa e per il mondo, perché il papa ha infine ricevuto il babbo di Alfie e ha pronunciato pubblicamente queste parole: «Attiro l’attenzione di nuovo su Vincent Lambert e sul piccolo Alfie Evans, e vorrei ribadire e fortemente confermare che l’unico padrone della vita, dall’inizio alla fine naturale, è Dio!». Sono esattamente le parole che era necessario dire, e che spettava primariamente a lui dire.

Ha chiamato Dio padrone. Ora, “padrone” è una parola aborrita dal linguaggio contemporaneo, fuori e dentro la chiesa. “Né Dio né padrone” è stato lo slogan della rivolta moderna, la cifra della componente anarchica presente un po’ in tutte le utopie con cui gli uomini si sono illusi negli ultimi duecento anni. Una parola cruda, che non è educato usare nella conversazione civile e che è quasi sparita anche dal lessico politico. Eppure, se guardiamo alla sostanza delle cose, possiamo forse dire che di padroni, al mondo, non ce ne sono più?

Il papa ieri ha usato quella parola, per ricordare una gran verità che i cristiani hanno da annunciare al mondo: che gli uomini un padrone ce l’hanno, ed è il Signore, Dio onnipotente, eterno e infinitamente buono. Hanno un padrone e proprio per questo non ne hanno altri. So che oggi nella chiesa si preferisce usare un altro linguaggio: si prefersice dire che Dio è padre (anzi è anche madre), è un amico che si è fatto come noi, uno di noi, per amarci e per servirci, e quando è la festa di Cristo re, tutte le omelie di tutte le messe si affrettano a spiegare che sì, Gesù è re, ma non proprio un re, non come i re della terra, e il suo modo di regnare è squello di servire e offrire la sua vita per noi … Tutto giusto e tutto vero.

Però una chiesa che vuol essere missionaria (o “in uscita”, come oggi si usa dire) deve imparare anche a parlare il linguaggio del mondo, se vuole farsi capire. E non solo quello di superficie, ma anche quello profondo. A gente come noi, che, in fondo in fondo, la pensa come don Rodrigo, bisogna saper dire chiaro e forte quello che il papa ha detto ieri: che l’unico padrone della vita è Dio. Quel Dio a cui l’uomo contemporaneo è sempre pronto a chiedere ragione di tutto quello che nella vita non gli va bene.

C’è un particolare, nella parabola dei talenti, che mi ha sempre colpito: quando il servo infingardo vuole giustificarsi per non aver trafficato il talento che gli era stato affidato dal padrone quasi lo rimprovera di essere «un uomo duro, che miete dove non ha seminato e raccoglie dove non ha sparso». Il padrone, che nella parabola simboleggia Dio, non lo corregge e non nega affatto di essere come ha detto il servo, ma rivendica la sua sovrana libertà di agire come vuole: «Il padrone gli rispose: Servo malvagio e infingardo, sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse» (Mt 25,26-27).

Pensare in modo eucaristico.

16 lunedì Apr 2018

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eucarestia, Ireneo, pensiero

Ireneo, Adversus Haereses, 4,18,5: «Il nostro modo di pensare è conforme all’Eucaristia, e l’Eucaristia, a sua volta, conferma il nostro modo di pensare (Ἡμῶν δὲ σύμφωνος ἡ γνώμη τῇ εὐχαριστίᾳ, καὶ ἡ εὐχαριστία βεβαιοῖ τὴν γνώμην)».

Un modo di pensare cattolico, che è la cosa di cui c’è più bisogno al mondo, è un modo di pensare eucaristico, cioè incardinato nel sacrificio di Cristo e nella sua corporale presenza (chiesa-eucaristia) nella storia e consistente in una continua azione di grazie a colui che ci ha redento. La nota frase di Wittgenstein, «pregare è pensare al senso della vita», si invera qui, invertendosi, in un pensare che è pregare perché, come dice Ireneo, conforme all’Eucaristia e da essa confermato. L’unità, non ricomposta a posteriori ma per così dire “genetica”, di pensiero e preghiera è la caratteristica forse più impressionante del pensiero dei Padri della chiesa.

Alfie Evans, Charlie Gard e tutti gli altri.

13 venerdì Apr 2018

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Alfie Evans, bambini, Gaudete et exsultate, poveri

I bambini muoiono. Muoiono perché sono colpiti da malattie che gli uomini non sanno o non possono curare efficacemente, e questa era la regola, non l’eccezione, fino a tempi molto recenti anche nel “nostro” mondo e tuttora lo è in altri mondi. Muoiono vittime della guerra e di tutte le altre forme di violenza che la colpa degli uomini introduce nel mondo (nel “nostro” e ancor più in quello degli altri), ieri come oggi. Molto di più, oggi muoiono perché gli uomini deliberatamente li fanno morire, nella grande maggioranza dei casi prima che nascano, ma qualche volta, e sempre più spesso, anche dopo che sono nati.

Ed è nel nostro mondo che si può imporre di far morire un bambino che può essere curato ma non guarito, come Alfie Evans. È da noi che si possono legare le mani a chi vorrebbe amarlo e curarlo fino al momento della morte. Anche se si tratta di suo padre e di sua madre.

Fino ad ora, il senso che la morte dei bambini fosse sempre e comunque ingiusta e inaccettabile, come una ferita aperta o uno “sbaglio” incomprensibile nell’ordine del mondo, era stato un elemento essenziale ed universale dell’autocoscienza umana. Eravamo uomini in quanto tutti sentivamo che i bambini non devono morire. Ora non più.

È su questo tragico frangente che molti oggi hanno l’impressione di un venir meno della testimonianza e della resistenza della chiesa. Il papa nella recente esortazione apostolica Gaudete et exsultate, parlando delle «ideologie che mutilano il cuore del vangelo» ha scritto: «La difesa dell’innocente che non è nato, per esempio, deve essere chiara, ferma e appassionata, perché lì è in gioco la dignità della vita umana, sempre sacra, e lo esige l’amore per ogni persona al di là del suo sviluppo. Ma ugualmente sacra è la vita dei poveri che sono già nati, che si dibattono nella miseria, nell’abbandono, nell’esclusione, nella tratta di persone, nell’eutanasia nascosta dei malati e degli anziani privati di cura, nelle nuove forme di schiavitù, e in ogni forma di scarto» (101). Giuste parole, che esigono però di essere integrate con una convinzione che lì resta implicita, e cioè che nel mondo contemporaneo i più poveri dei poveri sono i bambini, nati e non nati. Per questo motivo, la «difesa dell’innocente che non è nato» e di quello che è nato ma non può difendersi perché è un bambino è la prima e più urgente forma di difesa dei poveri. Una “chiesa dei poveri” che non avesse al centro della sua attenzione i più poveri di tutti, sarebbe, quella sì, ideologica.

«La formula che mondi possa aprirti»

11 mercoledì Apr 2018

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Non chiediamola ai poeti, né tantomeno ai filosofi: talvolta l’idiozia ha casuali lampi di genio che le consentono di illuminare a giorno il suo mondo e se stessa.

La prima notizia che questa mattina campeggia sulla pagina web del Corriere della sera è titolata così: «Aumenta l’uso dei sex toys (soprattutto tra le giovani). I rischi delle plastiche cinesi».

Mi pare una sintesi perfetta. Diamole una forma poetica («Aumenta l’uso dei sex toys / (soprattutto tra le giovani). // I rischi delle plastiche cinesi») e il Nobel per la letteratura all’autore.

Perché i cristiani devono pesare le parole.

09 lunedì Apr 2018

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Agostino, linguaggio, verborum licentia

«I filosofi parlano liberamente e in argomenti veramente difficili per l’intelligenza non si preoccupano di offendere l’udito dei credenti. A noi invece è consentito di esprimerci in base a una regola determinata affinché il libero uso delle parole non generi anche una erronea credenza in merito ai contenuti che si esprimono con quelle parole. (Liberis enim verbis loquuntur philosophi, nec in rebus ad intellegendum difficillimis offensionem religiosarum aurium pertimescunt. Nobis autem ad certam regulam loqui fas est, ne verborum licentia etiam de rebus, quae his significantur, impiam gignat opinionem)» [Agostino, De civitate Dei, 10, 23].

Agostino lo dice riferendosi ad un passo di Porfirio che potrebbe essere applicato impropriamente alla Trinità, ma il principio che qui egli enuncia ha un valore generale e quanto mai attuale. Il mondo parla come vuole, perché parla del suo. Oggi, che c’è difetto di pensiero, usa molto – anche e soprattutto tra coloro che vengono considerati dotti – parlare in modo approssimativo, confuso e oscuro: «in qualche modo», come suona un onnipresente (e ormai insopportabile) tic linguistico, rivelativo dell’incapacità (o della  rinuncia) al rigore e alla chiarezza proprie di una mentalità che ha ormai accantonato la questione della verità e ha abdicato al compito di pensare (cioè di pesare) la realtà.

Anche nella chiesa la tendenza dominante pare essere ormai quella di rifuggire dalla ricerca della precisione e dallo sforzo di chiarire il significato di ciò che si dice evitando ambiguità e fraintendimenti, ma soprattutto sembra ormai molto affievolito il senso di responsabilità nei confronti di una parola che non è la nostra, ma è di Dio.

Pare che, parlando della fede cristiana, si possa dire qualunque cosa, purché  suoni bene alle orecchie del pubblico, Tanto, tutto è detto “in qualche modo”, per metafora, “poeticamente” e non sta bene chiedere conto delle implicazioni e delle conseguenze di ciò che afferma. La precisione e la chiarezza, come è noto, sono roba da dottrinari e da tradizionalisti, categorie che ultimamente va molto di moda dileggiare .Verborum licentia per tutti!

Agostino però ci ricorda che, se il mondo può parlare come vuole, noi invece siamo responsabili di fronte a Dio di ogni parola che diciamo su di Lui.

Fascisti.

07 sabato Apr 2018

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libertà

A Roma è stato rimosso, per ordine del comune, un manifesto, regolarmente affisso dall’associazione ProVita Onlus, che si limitava a rappresentare e descrivere un feto di 11 settimane e a dichiarare contrarietà all’aborto. È palese e indiscutibile che ciò costituisce una violazione del principio costituzionale di libertà di espressione, sancito dall’articolo 21: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione».

In Italia, per motivata consuetudine, da più di settant’anni si usa qualificare come “fascista” ogni comportamento che nega la libertà. Mi pare del tutto appropriato.

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