Può essere utile, nella presente situazione, rileggere ciò che il Concilio Vaticano II dice sul rapporto dei cristiani con i musulmani, nella dichiarazione Nostra Aetate.
«La Chiesa guarda con stima i musulmani che adorano l’unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini. Essi cercano di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti di Dio anche nascosti, come vi si è sottomesso anche Abramo, a cui la fede islamica volentieri si riferisce. Benché essi non riconoscano Gesù come Dio, lo venerano tuttavia come profeta; onorano la sua madre vergine, Maria, e talvolta pure la invocano con devozione. Inoltre attendono il giorno del giudizio, quando Dio retribuirà tutti gli uomini risuscitati. Così pure hanno in stima la vita morale e rendono culto a Dio, soprattutto con la preghiera, le elemosine e il digiuno.
Se, nel corso dei secoli, non pochi dissensi e inimicizie sono sorte tra cristiani e musulmani, il sacro Concilio esorta tutti a dimenticare il passato e a esercitare sinceramente la mutua comprensione, nonché a difendere e promuovere insieme per tutti gli uomini la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà».
Ci sono, a mio avviso, diverse ragioni per apprezzare questo testo, meditarlo e prenderlo come punto di riferimento perfettamente valido anche (anzi soprattutto) oggi. Per quello che dice, e forse ancor più per come lo dice.
Innanzitutto è sobrio ed essenziale (tutta la Nostra Aetate lo è: “o gran bontà dei cavalieri antichi!” verrebbe da dire pensando alla mole dei documenti ecclesiastici che si scrivono adesso) e le parole sono misurate e pesate, una per una (come sempre dovrebbe essere, quando parla “la Chiesa”). Con questa precisione di linguaggio si dice:
1) che «la Chiesa guarda con stima i musulmani». Si noti: «stima», non altro; e «i musulmani», cioè le persone credenti, non ipso facto il loro credo.
2) Di quel credo si indicano chiaramente le parti che vengono apprezzate perché sono vere, e come tali coincidono con verità affermate dalla fede cristiana: «adorano l’unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini». Su tutto il resto, giustamente, si tace.
3) Poi si riconosce che «cercano di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti di Dio anche nascosti». “Cercano”: non si dice che vi riescano, cioè non ci si sbilancia ad affermare che in un’altra via che non sia quella della fede in Cristo sia possibile compiere totalmente la volontà di Dio. Inoltre si accenna delicatamente al fatto che un musulmano che persegua con purezza e verità il suo ideale di ubbidienza a Dio finisce per andare oltre quelli che sono i limiti della rivelazione a cui, attraverso la sua religione, gli è dato di attingere, perché aderisce di fatto anche a “decreti nascosti”.
4) Di seguito si rileva che, nel loro sforzo di sottomissione a Dio, i buoni musulmani imitano «Abramo, a cui la fede islamica volentieri si riferisce». Qui la precisione chirurgica dell’espressione impiegata è davvero ammirevole: la discendenza abramitica della fede islamica (che, tra l’altro, per loro significa che anche Abramo era musulmano!) non viene affatto accettata, ma solo registrata come una “pretesa” sulla cui fondatezza non si dice nulla, perché in questo contesto non sarebbe opportuno ma che, in altra sede, non si avrebbe nessun problema a contestare sul piano storico e teologico.
5) Infine, la sequenza delle virtù sobriamente ma anche volentieri riconosciute ai musulmani è imperniata sulla concessiva che sintatticamente le precede e le orienta nella giusta prospettiva: «benché essi non riconoscano Gesù come Dio» (che è molto di più di tutto quello che viene dopo: considerare Gesù un profeta – cioè, di nuovo, un musulmano; voler bene a Maria; pregare, digiunare e fare l’elemosina).
Una volta fatta questa chiarezza, e messe le cose a posto, la diplomazia e, perché no, il pragmatismo del secondo periodo (“scordiamoci il passato e collaboriamo dove si può”) non hanno più nulla di equivoco o di compromissorio, ma sono l’espressione di un sano realismo cattolico.
Penso che recuperare un atteggiamento dignitoso, critico e sereno come quello delineato dal Concilio farebbe un gran bene ai nostri rapporti con i musulmani.