Sic enim carere non potest infelicitate, qui tamquam deam felicitatem colit et Deum datorem felicitatis relinquit, sicut carere non potest fame, qui panem pictum lingit et ab homine, qui verum habet, non petit.
[Agostino, De civitate Dei, 4, 23,4]
Tradotto letteralmente (ma poi tornate su, al latino di Agostino, che è così bello e comprensibile a tutti e rileggetelo parola per parola): «Così infatti non può essere privo di infelicità colui che venera la felicità come una dea e trascura Dio, datore della felicità, così come non può essere privo di fame chi lecca un pane dipinto e non lo chiede all’uomo che ha quello vero».
“Venerare la felicità come un dea”: quello che oggi fanno (quasi) tutti. Chiedetelo a cento, a mille persone e tutte vi diranno che lo scopo ultimo della vita, dunque il senso della vita è “essere felici”. Anche in parrocchia o nell’ora di religione a scuola è quasi certo che dicano la stessa cosa. Solo che non è vero. O meglio, è vero solo in maniera secondaria, come conseguenza “non cercata”.
La vita cristiana è all’insegna del “sovrappiù”: «cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta (προστεθήσεται)» (Mt 6,33). Non cerca la felicità, cerca Dio: e la felicità le arriva come un dono inaspettato; non cerca la bellezza: e, quasi senza accorgersene, genera continuamente bellezza; non cerca la sapienza: ma chi vive veramente di fede diventa a lungo andare sapiente …
Perché siamo stati creati? “Per essere felici”, rispondono tutti. E allora perché non lo siamo? E nessuno sa più cosa rispondere.
La Chiesa, veramente, la risposta ce l’avrebbe. Nel catechismo di Pio X la metteva giù dura, con quel tratto rude che oggi non si addice alle nostre pelli delicate: «Dio ci ha creati per conoscerlo, amarlo e servirlo in questa vita, e per goderlo poi nell’altra, in paradiso». Dava un compito, indicava una strada e prometteva una meta. Non una felicità attuale.
Nel Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica (di cui non saremo mai abbastanza grati a Benedetto XVI) si dice la stessa cosa in un modo più profondo ed elegante: «Perché è stato creato il mondo? Il mondo è stato creato per la gloria di Dio che ha voluto manifestare e comunicare la sua bontà, verità e bellezza. Il fine ultimo della creazione è che Dio, in Cristo, possa essere “tutto in tutti” (1 Cor 15,28) per la sua gloria e per la nostra felicità» (n.53). «Per quale fine Dio ha creato l’uomo? Dio ha creato tutto per l’uomo, ma l’uomo è stato creato per conoscere, servire e amare Dio, per offrirgli in questo mondo tutta la creazione in rendimento di grazie, ed essere elevato alla vita con Dio in cielo. […]» (n.67).
L’alternativa? “Leccare un pane dipinto”: quello che oggi fanno quasi tutti.