Avrò avuto quattro o cinque anni, andavo all’asilo. La suora ci portò in chiesa (non nella chiesa grande – che adesso non è più una chiesa ma una sala dove ogni tanto fanno mostre di architettura – ma nella cappellina interna alla loro casa, che adesso non c’è più; ma nella mia mente vive un fotogramma, sia pure sfocato, di com’era). Indicò il tabernacolo e ci disse che era la casa di Gesù. Io chiesi di aprire la porticina e di vedere cosa c’era dentro (era molto interessante sapere come potesse esser fatto l’appartamento di Gesù, in una casina così piccola, che prometteva di essere un bellissimo gioco). La suora rispose – con una certa aria che non so più definire a parole, ma che nel mio ricordo è ancora ben presente, e che comunque mi faceva capire che l’avevo detta grossa – che nessuno, tranne il sacerdote, poteva aprire quella porticina.
Sono passati sessant’anni, ero un bambino e ora sono un vecchio, eppure me lo ricordo perfettamente. Forse è il primo rudimento della fede cattolica che mi è stato comunicato. Perlomeno è il primo di cui abbia memoria. Ed era, a portata di bambino, una cosa profonda ed essenziale, se vogliamo era la premessa di tutto il resto. Lì, nella “casa di Gesù”, c’è Qualcosa. Qualcosa che non sei tu, su cui non puoi mettere le mani. Dio, non uomo. Chi è Dio e chi sei tu.
Ora sono un vecchio, non assomiglio in nulla a quel bambino, ma di fronte al Mistero sono esattamente come lui. Inoltre sono un cristiano infimo e avrei bisogno che non mi si rendessero le cose troppo difficili. Invece quando vado a messa, mi pare che ben poco mi aiuti a riconoscere che lì c’è Qualcosa (avendo studiato, oggi so che più esattamente c’è Qualcuno, anzi accade Qualcuno). Certo, dovrei saperlo e viverlo per fede, a prescindere dalla forma di ciò che si svolge intorno a me, e dovrei anche sapere (avendo studiato) che uno dei giochi preferiti dal tentatore è distrarci appunto con tanti particolari sghembi, fastidiosi e irrilevanti (come spiega benissimo il Berlicche di C.S.Lewis).
Ma, appunto perché la mia fede è piccola, avrei anche bisogno di essere aiutato. Mi pare invece che nel modo in cui si fa abitualmente la messa, tutto cospiri ad altro. Quante volte arrivo al momento della consacrazione un po’ frastornato, dopo un mezz’ora piena di parole e di chiasso? Mi permetto di chiamare così la “colonna sonora” che oggi sembra essere considerata indispensabile per “animare” ogni messa, anche la più “feriale”. Guai se non si canta (quasi sempre male).
Sul canto liturgico ci sarebbe da fare un lungo e approfondito discorso, che non posso e non voglio fare qui. Un acuto e cortese corrispondente, che legge questo blog ed è competente in materia, mi ha mandato tempo fa un saggio che contiene osservazioni molto interessanti e utili in proposito: forse vorrà intervenire e potrà farlo meglio di me. Io mi limito a confessare il mio disagio per una prassi, quella di cantare (male!) come “accompagnamento musicale” della messa, che mi pare faccia più danni che altro. “Cantare messa” sarebbe tutta un’altra cosa, ma, ripeto, non entro nel merito.
Comunque, dopo aver parlato parlato e ascoltato parole (umane, per lo più) per mezz’ora, mi pare che non solo io ma anche gli altri siano già un po’ stanchini. Scavallata l’omelia e le intenzioni dei fedeli (in cui spieghiamo a Dio per filo e per segno che cosa deve fare, e anche che cosa dovremmo fare noi), abbiamo tutti l’aria di sapere che il più è fatto. Il tempo della seconda parte della messa, infatti, è del tutto diverso dalla prima. La preghiera eucaristica (sempre la più breve, mi raccomando) ne porta via ben poco: scorre in automatico, a velocità sostenuta. Il Sanctus rallenta un po’ perché può essere cantato (anch’esso male, il più delle volte), ma potrebbe anche succedere che il coro, dopo aver condito il resto della celebrazione con tante canzoncine, resti muto proprio in quel momento, quando il canto sarebbe esplicitamente richiesto.
L’elevazione dell’ostia e del calice (con annesse genuflessioni, ma non sempre: del resto anche il papa le evita accuratamente) sono fulminee; e nel caso fossimo intenti a ciò che succede all’altare (perché succede una cosa miracolosa, no? Non succede la Cosa più importante che ci sia? L’unica cosa che realmente accada? Il vero motivo per cui siamo venuti a messa?), ci pensa lo scambio del segno di pace a volgere altrove la nostra attenzione, anche perché ormai non basta darlo al vicino di destra e a quello di sinistra, bisogna salutare anche tutta la panca davanti e a quella di dietro.
Poi si riprende a schitarrare; una brava signora della parrocchia, in jeans e maglione, dal suo posto va al tabernacolo, lo apre (il fanciullino che è in me obietta: ma la suora non aveva detto che solo il sacerdote poteva?), fa una disinvolta genuflessione (forse) e si mette accanto al prete a distribuire ostie ai fedeli. I quali nel frattempo si sono alzati e messi in fila quasi tutti, con un certo scontato automatismo, per andare a prenderle, (Senz’altro ci saremo tutti confessati da poco, e quanto a “pensare a chi si va a ricevere”, ci staremo sicuramente pensando, ma non si vede molto). Quasi tutti prendono l’ostia in mano, la mangiano, vanno al posto e si siedono. Si schitarra cantando cose improbabili ancora un po’, intanto il prete pulisce le stoviglie, si siede e dopo pochi secondi si rialza, dice ancora qualcosa, ed è fatta. Potrebbe esserci ancora un intoppo se è uno da avvisi (qualche volta diventano la terza o quarta omelia), e comunque un altro po’ di chiasso si deve fare col canto finale, ma mentalmente siamo già fuori. Del resto, trattenersi in chiesa in silenzio non sarebbe una buona idea, perché certamente alcuni tra i fedeli si saranno fermati a chiacchierare.
Non vorrei essere frainteso su una cosa tanto importante: queste non sono obiezioni alla messa, né nostalgie del rito antico. Ho sentito anche qualche giorno fa un giornalista famoso riferirsi con ironia a chi pone il problema della liturgia nella chiesa di oggi, come se fosse una questione di pizzi e merletti. È una caricatura sciocca che disonora chi la fa. Né Benedetto XVI né il cardinale Sarah, per citare solo due nomi illustri e venerati, parlano di pizzi e merletti. Per parte mia, come cristiano da poco quale sono, vorrei solo che ci fosse ancora quella suora, per aiutarmi ad andare a messa.