L’industria delle ricorrenze ha le sue esigenze e le sue regole: vuole date precise da celebrare e poco importa se, quando si tratta di processi storici complessi, è ben difficile e sempre arbitrario ridurli a un puntino sul calendario. È il caso della riforma protestante, di cui dovremmo oggi commemorare (c’è chi dice, anche tra i cattolici, festeggiare) il quinto centenario.
In realtà, a parte il fatto che è tutt’altro che storicamente certo che la mattina del 31 ottobre sia stato affisso alcunché sulla porta della Schlosskirche di Wittenberg, è molto discutibile che la pubblicazione delle 95 tesi da parte di Lutero rappresenti veramente il momento epocale in un percorso che nella vita interiore del frate agostiniano era già cominciato da alcuni anni e che nelle conseguenze esterne conobbe delle tappe ben più decisive dopo il 1517, quando attorno a lui si formò un movimento di protesta contro la chiesa romana che sfociò nello scisma.
Non sono certo uno specialista sull’argomento, ma mi pare che, nella vita di Lutero, dovrebbe apparirci assai più determinante la svolta avvenuta con la cosiddetta “esperienza della torre”, cioè l’intuizione della giustificazione per la sola fede nella grazia; la quale però, ai fini di una celebrazione, ha il difetto di non poter essere datata con precisione perché, come dice Bainton, non ci fu per Lutero «nessun coup de foudre, nessuna apparizione celeste», ma semplicemente egli «ebbe la soluzione di tutti i suoi problemi durante l’espletamento delle sue incombenze quotidiane». Dal punto di vista più generale, invece, l’inizio della riforma come movimento religioso di distacco dalla chiesa cattolica andrebbe fatto risalire – più che a quella famosa posizione di tesi del 31 ottobre 1517, che apparve ai contemporanei (ed in effetti fu) una normale disputa teologica su questioni che erano perfettamente discutibili (e discusse) all’interno della chiesa, – ad altri successivi sviluppi, nei quali le questioni politiche entrarono moltissimo, come moltissimo contò la radicalizzazione delle posizioni di Lutero. Anche da questo punto di vista si potrebbero indicare altre date-simbolo assai più significative, come ad esempio il giorno della condanna papale con la bolla Exurge Domine del 15 giugno 1520; o il 3 gennaio del 1521, quando Lutero fu scomunicato; ma soprattutto il 18 aprile 1521, il giorno del suo rifiuto di abiurare davanti all’imperatore Carlo V alla dieta di Worms, forse il vero punto di non ritorno in quella drammatica vicenda.
Questioni di lana caprina, si dirà. Una data simbolica bisogna pur sceglierla, e quella tradizionale vale quanto un’altra. Sì, se non fosse che anche questo contribuisce ad una distorsione della memoria storica. Oggi va di moda, infatti, anche in molti ambienti cattolici, esaltare acriticamente Lutero, presentando la sua opera come una provvidenziale medicina per la chiesa e addirittura, come pare sia stato detto da un importante prelato, come «un evento dello Spirito santo». In quest’ottica, fa buon gioco mettere avanti la figura dell’inquieto religioso agostiniano del 1517, ancora cattolico, concentrarsi sulle sue “buone intenzioni”, e sulle sue “buone ragioni” e lasciare indietro, sullo sfondo, tutto ciò che Lutero è stato e ha fatto dopo il 1517. Invece, una memoria storica adeguata alla complessità e anche, diciamolo, alla grandezza di quell’avvenimento, dovrebbe tenere conto di quel dopo.
In questa prospettiva, quanto a ciò che Martin Lutero è stato, considerando nell’insieme la sua vita credo sia difficile non riconoscere che egli, smettendo di essere cattolico, non diventò affatto un uomo migliore. Anzi.
E per quanto riguarda ciò che ha fatto: senza nulla togliere al rispetto e all’ammirazione dovute al ricco patrimonio di fede e di cultura che si è accumulato nei cinque secoli di vita delle comunità cristiane protestanti nate dalla sua opera, come si fa a non metter sul piatto della bilancia prima di tutto l’enorme danno prodotto dalla rottura dell’unità della chiesa? Uno scisma, per principio, non si può festeggiare.