In quegli anni, all’inizio del mio insegnamento nella città natale, mi ero fatto un amico, che la comunanza dei gusti mi rendeva assai caro. Mio coetaneo, nel fiore dell’adolescenza come me, con me era cresciuto da ragazzo, insieme eravamo andati a scuola e insieme avevamo giocato; però prima di allora non era stato un mio amico, sebbene neppure allora lo fosse, secondo la vera amicizia. Infatti non c’è vera amicizia, se non quando l’annodi tu fra persone a te strette col vincolo dell’amore diffuso nei nostri cuori ad opera dello Spirito Santo che ci fu dato. […] Quando eccoti arrivare alle spalle dei tuoi fuggiaschi, Dio delle vendette e fonte insieme di misericordie, che ci rivolgi a te in modi straordinari 22; eccoti strapparlo a questa vita dopo un anno appena che mi era amico, a me dolce più di tutte le dolcezze della mia vita di allora. […] L’angoscia avviluppò di tenebre il mio cuore. Ogni oggetto su cui posavo lo sguardo era morte (quidquid aspiciebam mors erat). Era per me un tormento la mia patria, la casa paterna un’infelicità straordinaria. Tutte le cose che avevo avuto in comune con lui, la sua assenza aveva trasformate in uno strazio immane. I miei occhi se lo aspettavano dovunque senza incontrarlo, odiavo il mondo intero perché non lo possedeva e non poteva più dirmi: “Ecco, verrà”, come durante le sue assenze da vivo (Expetebant eum undique oculi mei, et non dabatur; et oderam omnia, quod non haberent eum, nec mihi iam dicere poterant: “Ecce veniet”, sicut cum viveret, quando absens erat). Io stesso ero divenuto per me un grande enigma (Factus eram ipse mihi magna quaestio). Chiedevo alla mia anima perché fosse triste e perché mi conturbasse tanto, ma non sapeva darmi alcuna risposta; e se le dicevo: “Spera in Dio” a ragione non mi ubbidiva, poiché l’uomo carissimo che aveva perduto era più reale e buono del fantasma in cui era sollecitata a sperare (quia verior erat et melior homo, quem carissimum amiserat, quam phantasma, in quod sperare iubebatur). Soltanto le lacrime mi erano dolci e presero il posto del mio amico tra i conforti del mio spirito.
[Agostino, Confessioni, IV,4,7-9]
Davanti alla morte (e la morte dell’amico è veramente la morte; quella dell’estraneo e dello sconosciuto è un’astrazione), davanti alla morte – questa cosa “assolutamente im-pensabile” – anche il pensiero religioso, se resta un pensiero, è come un fantasma. E l’uomo carissimo che abbiamo perduto era più reale di qualsiasi fantasma.
Incontrare Cristo, per Agostino, sarà finalmente incontrare una presenza reale e buona che non muore. La morte dell’amico mette alla prova la nostra conoscenza di Cristo: fantasma o presenza?