Nelle discussioni sulla presente situazione della chiesa sento spesso avanzare, da parte di “buoni cattolici”, questo argomento, variamente formulato: il papa è il papa e non si può criticare, chi lo fa rompe l’unità della chiesa è non è un buon cattolico; essere cattolici significa seguire comunque il papa; il papa è il papa e può fare quello che vuole …
Sono vere queste affermazioni? Come sempre, la risposta giusta è: dipende. Dipende da come sono intese. Io non sono un teologo e non ho alcuna autorità, però so leggere e il Catechismo della Chiesa Cattolica lo consulto spesso. Vediamo dunque che cosa dice.
Il punto 882 afferma, citando in gran parte la Lumen gentium: «Il Papa, vescovo di Roma e successore di san Pietro, è “il perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità sia dei vescovi sia della moltitudine dei fedeli”. “Infatti il romano Pontefice, in virtù del suo ufficio di vicario di Cristo e di pastore di tutta la Chiesa, ha sulla Chiesa la potestà piena, suprema e universale, che può sempre esercitare liberamente”». Quindi sì, in questo senso il papa è un monarca, in quanto è dotato di una «potestà piena, suprema e universale, che può sempre esercitare liberamente». Però si notino due cose:
a) ciò che definisce il papa non è questo, ma quel che viene prima: «perpetuo e visibile principio dell’unità etc.». Cioè: non è un individuo, un soggetto individuale in mezzo a tanti altri soggetti individuali portatori ciascuno di un suo proprio interesse o punto di vista particolare. Detto più spicciativamente: non è un io, ma un noi. (Nota a margine: suprema saggezza comunicativa della chiesa di un tempo, che faceva parlare i papi -fino a Paolo VI, se non vado errato – con il noi. Plurale maiestatis dicevano gli sciocchi, provandone fastidio, quando invece era un plurale communionis, o plurale unitatis).
b) La «potestà piena, suprema e universale che può sempre esercitare liberamente», il papa ce l’ha «in virtù del suo ufficio di vicario di Cristo e di pastore di tutta la Chiesa». Non ce l’ha da sé, non per sé, non per una parte della chiesa (neppure per la parte migliore, o quella che egli ritenga migliore), ma per «tutta la Chiesa». Non per altro.
Quindi no, se per monarca si intende un autocrate il papa non lo è affatto. Se si vuole dire che è un sovrano nel senso del rex superiorem in regno suo non recognoscens della dottrina giuridica, si sbaglia gravemente, perché è vero che il papa è, rispetto all’ordinamento canonico, la fonte del diritto, ma lo è solo in quanto a sua volta superiorem recognoscit e come! La frase sopra citata: “il papa è il papa e può fare quello che vuole” è dunque solo superficialmente verosimile, perché a guardare meglio si vede che non vi è persona al mondo più lontana del papa dal poter “fare quello che vuole”. Il papa è colui che meno di tutti “può fare di testa sua”. Del resto, c’è una parola di Gesù molto chiara in proposito: «In verità, in verità ti dico: “quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi”. Questo gli disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E detto questo aggiunse: “Seguimi”» [Gv 21, 18-19].
Tutto questo si comprende ancora meglio se si fa un passo indietro e si leggono i punti 876-879 del Catechismo, che indicano le tre caratteristiche essenziali del ministero ecclesiale, cioè dell’autorità esercitata nella chiesa in forza del sacramento dell’ordine. Esse valgono per tutti i ministri, in primis per il papa.
«876. Alla natura sacramentale del ministero ecclesiale è intrinsecamente legato il carattere di servizio. I ministri, infatti, in quanto dipendono interamente da Cristo, il quale conferisce missione e autorità, sono veramente “servi di Cristo”, ad immagine di lui che ha assunto liberamente per noi “la condizione di servo”. Poiché la parola e la grazia di cui sono ministri non sono le loro, ma quelle di Cristo che le ha loro affidate per gli altri essi si faranno liberamente servi di tutti». (Altra piccola nota a margine: si confronti «la parola e la grazia di cui sono i ministri non sono le loro» con la prassi creativa invalsa nella chiesa, che porta tanti preti a fare la liturgia a modo loro e a comunicare nelle omelie non la dottrina cristiana ma quel che gli passa per la testa. Anche qui, a me pare che ci fosse almeno della prudenza nel comportamento della chiesa, quando proibiva rigorosamente di derogare dalle rubriche. Conosceva i suoi polli, si direbbe, vedendo quello che ne è seguito …).
«877. Allo stesso modo, è proprio della natura sacramentale del ministero ecclesiale avere un carattere collegiale. […]». Non riproduco tutto il punto perché questo post sta già diventando troppo lungo. Consiglio di leggerlo attentamente. Collegialità è stata una delle parole più frequentemente e rumorosamente ripetute negli ultimi cinquant’anni, una delle più fraintese e oggi, mi permetterei di dire, a quanto sembra una delle meno applicate. Collegialità non vuol dire democrazia. Vuol dire unità, assicurata da Pietro. Per questo il punto 885, che meriterebbe una riflessione molto approfondita, aggiunge: «Il collegio episcopale in quanto composto da molti, esprime la varietà e l’universalità del popolo di Dio; in quanto raccolto sotto un solo capo, esprime l’unità del gregge di Cristo».
«878. Infine è proprio della natura sacramentale del minsitero ecclesiale avere un carattere personale […]». Anche qui rinvio alla lettura diretta per il resto del punto.
Ecco, se posso permettermi un’opinione, anch’essa personale e perciò, per quanto mi riguarda, di scarso valore se non quello di venire da un laico privo di qualunque ministero (e, come diceva Machiavelli, «a conoscere bene la natura de’ populi, bisogna essere principe, et a conoscere bene quella de’ principi, bisogna essere populare»), è proprio in quest’ultimo aspetto che sta una delle cause dell’attuale situazione di difficoltà nella chiesa. La crisi che viviamo mi pare che derivi da un processo di “personalizzazione del ministero” che nella chiesa va avanti da molto tempo a tutti i livelli, ma di cui fino a pochi anni fa avevamo sentito prevalentemente gli aspetti positivi, senza coglierne l’ambiguità. Però di questo, magari, parliamo un’altra volta.