Docetismo è una parola che si usa per definire la dottrina di coloro che negano la realtà dell’incarnazione del Figlio di Dio. Secondo loro, Gesù Cristo non ha avuto un vero corpo, di carne, come tutti noi, e di conseguenza la sua passione, morte e resurrezione non sono state “reali”, nel senso che non hanno avuto una consistenza fisica, materiale. Lo hanno pensato in molti, sin dai primi tempi del cristianesimo: la seconda lettera di Giovanni già ammonisce che «molti sono i seduttori apparsi nel mondo, i quali non riconoscono Gesù venuto nella carne» (v.7). Questa idea di Cristo è stata in particolare degli gnostici, soprattutto dei valentiniani, di Marcione e di altri nei primi secoli … e potremmo pensare che sia roba antica, di quella volta là; roba che non ci riguarda più.
Se però intendiamo per “docetismo”, in senso più ampio, il seguire un Cristo immaginario o, se si preferisce, un nostro pensiero su Cristo, allora la cosa ci riguarda eccome. Specialmente oggi, quando molti nella chiesa (anche dotati di autorità) insegnano che le parole che la chiesa ha sempre detto (le parole del credo, della liturgia, del catechismo, le parole in cui è formulata la dottrina) sono, appunto, parole umane, che si possono (e anzi si devono) intendere in modo diverso col mutare dei tempi e adattare alle circostanze. La dottrina non cambia, si dice: cambia il paradigma, che ormai non può più essere dottrinale-veritativo ma deve farsi pastorale-caritativo.
Ma allora, si chiedono in molti, prima seguivamo un’immagine di Cristo?
Così si dice, e anche in questa posizione c’è un nucleo di verità. In Cristo, è Dio che si fa uomo e si rivela agli uomini, ma si rivela in quanto mistero che eccede sempre infinitamente l’umana comprensione. Perciò è vero che tutte le nostre parole su Dio, anche quelle che più fedelmente riprendono le parole dette da Gesù (quegli ipsissima verba che gli esegeti hanno tante volte vanamente inseguito), sono in un certo senso inadeguate, perché inadeguata è la nostra comprensione. Ma questo è vero di tutte le nostre parole, perché sono sempre espressione dei nostri pensieri, e non c’è “cambio di paradigma” che tenga: il nuovo, infatti, non sarebbe altro che un’altra immaginazione che si sostituisce alla precedente. La realtà di Cristo è dunque destinata a sfuggirci, come un noumeno inconoscibile? Non c’è bisogno di essere kantiani, per capire che tutto ciò che noi pensiamo, lo pensiamo noi, con tutti i limiti nostri.
Dunque il calore del Natale si raffredda, la luce si offusca, gli angeli non cantano più? Cristo è venuto, ma noi restiamo lontani da Lui?
No, perché c’è Maria. Per lei, Gesù Cristo, Dio che si fa uomo, è un pensiero reale. Realtà “fisica” della presenza di Dio nella sua carne. Sin dal concepimento, le nausee e tutti gli altri sintomi di una qualsiasi gravidanza: erano le tracce di Dio. Il ventre che ingrossa: era Dio. Il feto che si muove, prima come un frullo d’ali nella pancia, poi son calci: era Dio. Nelle ultime settimane, girarsi nel letto e faticare a trovare la posizione: era Dio. Poi le contrazioni: è Dio. Dio rompe le acque, vuole uscire, spunta la testa di Dio (non è podalico, grazie a Dio!), poi le spalle e il resto che vien via come niente. Si taglia il cordone ombelicale di Dio, si pulisce il corpicino di Dio. Poi tutte le altre normali cose dei neonati e delle puerpere: il meconio (di Dio), la montata lattea. Poi le piccole coliche, di Dio; gli esantemi di Dio … Perché quel figlio, suo figlio, è Dio.
Ma – questo è il punto – tutto ciò non è solo realtà fisica, materia. Il corpo di Maria non è solo uno strumento materiale, un contenitore, un supporto dell’incarnazione. Quella realtà imponente, persino ingombrante, Maria la investe di pensiero: pensa continuamente a suo figlio; o meglio, pensa continuamente suo figlio. Il pensiero è il tratto fondamentale della fisionomia di Maria che il vangelo di presenta: «serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19). Come dice Agostino, non sarebbe stato niente aver portato Gesù in grembo se non lo avesse portato nel cuore: «materna propinquitas nihil Mariae profuisset, nisi felicius Christum corde quam carne gestasset» (Sanct. Virg. 3,3). Abbiamo la consolante certezza che almeno una persona ha pensato Cristo in modo assolutamente reale, assolutamente libero dall’immaginazione.
Il pensiero di Maria, dunque. Pensare come Maria: questo il metodo per uscire dall’aporia del nostro docetismo. Ecco perché la dimensione mariana è essenziale alla vita cristiana, come la tradizione cattolica ha sempre insegnato. In questo senso, la chiesa stessa è mariana.