Il video della serata sull’eredità di Benedetto XVI (Scuola #Ratzinger, quarto appunto)
30 giovedì Mar 2023
Posted Senza categoria
in30 giovedì Mar 2023
Posted Senza categoria
in29 mercoledì Mar 2023
Posted Senza categoria
inNon vado matto per la categoria di resilienza, anzi se devo dire la verità trovo che sia diventata molto fastidiosa perché si infila dappertutto, preferibilmente nei discorsi che “si danno delle arie”. Nel libro che qui si presenta compare molte volte, ma ciò è dovuto in gran parte al fatto che esso raccoglie, in forma rielaborata, degli articoli inizialmente scritti come interventi in un workshop (ahimé, così si parla) tenuto all’ultimo congresso della European Association for the Study of Religions, che si svolse a Pisa ai primi di settembre del 2021 e aveva come tema appunto la “Resilient Religion”. Al di là del pedaggio che si è dovuto pagare alla moda accademica, la sostanza però è valida: ogni incontro/scontro con l’altro è una sfida, e noi possiamo rifiutarla e chiuderci in difesa (in svariati modi, non solo esclusivi ma anche inclusivi!); possiamo far finta di non vederla, negando l’evidenza e continuando come prima finché ci sommerga; oppure possiamo raccoglierla e stabilire con l’altro una relazione (che potrebbe anche essere durissima, cruenta addirittura: non sono mica rose e fiori!). Se si stabilisce una vera relazione con l’altro, è giocoforza cambiare, perché, poco o tanto, occorre ripensare se stessi, la propria identità in rapporto all’altro. Non è facile, ma si attiva questa dinamica, che è sì identitaria (non è una parolaccia!) ma nel senso di un’identità relazionale, allora si è vivi. E se si è vivi c’è speranza, per quanto difficile possa essere la situazione. Altrimenti si è morti, o moribondi. Come l’Europa di oggi, che non raccoglie la sfida di pensare la propria identità in rapporto agli altri che la circondano e ormai la occupano.
Nel libro, che è curato da Maria Vittoria Cerutti, storica delle religioni, vi sono una lezione magistrale di un grande studioso come Christian Gnilka e i contributi di alcuni amici dell’Associazione Patres (A.M. Nazzanti, G.Maspero, M.V.Cerutti, G.Chiapparini, A.Zauli) e c’è anche un mio articolo, dall’intrigante titolo Giuliano, apostata o non-cristiano? Strategie di resilienza nel Contra Galilaeos tra esclusione krisis e “giusto uso”. (Scommetto che non vedete l’ora di leggerlo).
25 sabato Mar 2023
Posted Dante per ritrovarsi
inI bruschi salti dall’alto al basso, che diventano dei veri precipizî quando si sale alle altezze del Paradiso, hanno sempre sconcertato molti lettori della Commedia. I “critici laureati” poi ne sono talvolta così destabilizzati che non si peritano di bacchettare il poeta per una presunta mancanza di “unità poetica” del canto o altre baggianate del genere. Già avevano maldigerito che San Pietro, dopo tutta quella meravigliosa esposizione delle tre virtù teologali, nel XXVII canto si fosse messo ad imprecare contro la corruzione dei suoi successori (vedi qui: https://leonardolugaresi.wordpress.com/2023/02/11/lira-di-pietro-sul-suo-successore-un-monito-contro-il-papismo-dante-paradiso-canto-xxvii-vv-22-66/); ancor meno sembra accettabile che perfino qui nel XXIX, che siamo in mezzo agli angeli a parlar degli angeli, ci venga riproposta un’altra simile, repentina caduta: dal celestiale «s’aperse in nuovi amor l’etterno amore» (v. 18) su cui noi tanto ci siamo fermati, alla stalla fetente dove «ingrassa il porco sant’Antonio» (v. 124). Chi non gradisce, pensi che la Commedia è umana. È vero che, da Boccaccio in poi, usiamo chiamarla “divina” per un comprensibile omaggio alla sua sovrumana grandezza, ma in verità essa è pienamente ed autenticamente “umana”: scritta da un uomo – che nel comporla certo attinse al massimo livello possibile di altezza spirituale, ma era solo un uomo– per gli uomini. E noi uomini siamo fatti così: abbiamo sempre in noi un alto e un basso; elevate aspirazioni e basse pulsioni istintive; pensieri spirituali e passioni carnali. Come diceva Péguy, «a tutte le creature manca qualcosa. […] A quelle che sono carnali manca precisamente di essere pure». L’errore più pericoloso che l’uomo possa fare è pretendere di “angelicarsi”, aspirando a una “purezza” che non gli appartiene e che, d’altronde, non gli garantisce affatto la salvezza: purissimo, infatti, fu il peccato della creatura più bella, che diede origine a ogni altro peccato.
Così, dopo avere pacatamente esposto la dottrina della creazione degli esseri spirituali e della materia, e quella della caduta causata dalla superbia di Lucifero (vv. 55-57:«Principio del cader fu il maladetto / superbir di colui che tu vedesti / da tutti i pesi del mondo costretto»), Beatrice tocca il problema, allora disputato nelle scuole teologiche, se gli angeli abbiano o meno la funzione della memoria e lo risolve facilmente affermando che essi, non discostandosi mai dalla contemplazione di Dio, in Lui vedono e sanno tutto e quindi non hanno bisogno di ricordare nulla. A questo punto, è come se il suo discorso si increspasse: dapprima è come un’ombra di infastidito dispetto per il vaneggiamento di quei maestri che sostengono in buona fede la tesi opposta e per la malafede di quelli che insegnano consapevolmente il falso: «sì che là giù, non dormendo, si sogna, / credendo e non credendo dicer vero: / ma ne l’uno è più colpa e più vergogna» (vv. 82-84). Di qui, l’avversità dantesca nei confronti di una certa scienza teologica narcisisticamente intenta a celebrare la propria capacità di elaborazione concettuale e sostanzialmente indifferente alla Verità, lungi dal risolversi in uno spunto polemico incidentale, si impenna e dilaga in un’invettiva che noi faremo bene ad ascoltare, stando come in castigo, perché in effetti è a noi che sta parlando: «Voi non andate giù per un sentiero / filosofando tanto vi trasporta / l’amor de l’apparenza e ’l suo pensiero!» (vv. 85-87). Com’è vero! Quante migliaia di pagine si scrivono e si pubblicano solo per desiderio di affermazione personale; e quante presunte “novità” nella ricerca rispondono più al bisogno dei loro “inventori” di conseguire un po’ di notorietà e di spazio accademico, che non alla effettiva necessità di battere nuove strade per approssimarsi alla verità!
«E ancor questo qua sù si conporta / con men disdegno che quanto è posposta / la divina Scrittura o quando è torta» (vv. 88-90). Passi ancora quando questo accade nel campo delle scienze profane, senza nuocere alla Scrittura; quando invece la vanità dei maestri e dei predicatori adombra con le sue invenzioni la luce della rivelazione divina, allora sì che la cosa è gravissima e deve essere giudicata tenendo a mente la cruenta serietà del sacrificio di Cristo e dei suoi seguaci che portano la Sua parola nel mondo: «Non vi si pensa quanto sangue costa / seminarla nel mondo e quanto piace / chi umilmente con essa s’accosta» (vv. 90-93). Questa mancanza di rispetto per il dato della rivelazione, che è una vera turpitudine morale, Beatrice la bolla con parole di fuoco, offrendo una grottesca rappresentazione di alcune sue “espressioni pastorali”, in cui noi riconosciamo perfettamente l’aspetto di tanta omiletica corrente nella chiesa di oggi (vv. 94-117):
Per apparer ciascun s’ingegna e face
sue invenzioni; e quelle son trascorse
da’ predicanti e ’l Vangelio si tace.
Un dice che la luna si ritorse
ne la passion di Cristo e s’interpuose,
per che ’l lume del sol giù non si porse;
e mente, ché la luce si nascose
da sé: però a li Spani e a l’Indi
come a’ Giudei tale eclissi rispuose.
Non ha Fiorenza tanti Lapi e Bindi
quante sì fatte favole per anno
in pergamo si gridan quinci e quindi:
sì che le pecorelle, che non sanno,
tornan del pasco pasciute di vento,
e non le scusa non veder lo danno.
Non disse Cristo al suo primo convento:
’Andate, e predicate al mondo ciance’;
ma diede lor verace fondamento;
e quel tanto sonò ne le sue guance,
sì ch’a pugnar per accender la fede
de l’Evangelio fero scudo e lance.
Ora si va con motti e con iscede
a predicare, e pur che ben si rida,
gonfia il cappuccio e più non si richiede.
I versi danteschi, come si vede, qui mimano il loro oggetto, avvicinandosi al tono di quella stessa comicità che stigmatizzano come degenerazione dell’annuncio cristiano ridotto a burlesco arruffianamento del pubblico pagante; ma siamo ben lontani dal divertimento di una novella clericale, alla Frate Cipolla per intenderci. I laici hanno poco da ridere delle fandonie dei preti, perché se il popolo potesse vedere il diavolo che si annida nel cappuccio di quei religiosi alle cui fole presta ascolto, capirebbe che sta correndo dietro alla propria rovina.
La stoccata finale punta ancora più in basso, sino a toccare un nervo scopertissimo anche nella chiesa di oggi, travagliata da scandali sessuali nei quali, come dimostrano anche le cronache recenti (si pensi all’incresciosissimo caso Rupnik), le perversioni teologiche e quelle morali si intrecciano e si rafforzano a vicenda (vv. 124-126):
Di questo ingrassa il porco sant’ Antonio,
e altri assai che sono ancor più porci,
pagando di moneta sanza conio.
Da «s’aperse in nuovi amor l’eterno amore» a «di questo ingrassa il porco sant’Antonio» è un bel salto, non c’è che dire. Ma così è la vita.
22 mercoledì Mar 2023
Posted Senza categoria
inSegnalo a chi fosse interessato il seminario che, come Associazione Patres in collaborazione con la Facoltà Teologica dell’Emilia-Romagna, faremo sabato 1 aprile, dalle 9.30 in poi, a Bologna. Da tempo ci stiamo occupando dell’opera di questo studioso, uno dei non molti che abbiano un pensiero nel panorama culturale europeo. Gli porremo delle domande, ascolteremo le sue risposte e ne ragioneremo con lui. Se la cosa andrà come speriamo, dovrebbe essere una buona occasione per fare un po’ di quella cosa che sempre si evoca e quasi mai si realizza: dia-logo, cioè incontro di ragioni che reciprocamente si attraversano e si fecondano, esercizio del pensiero in relazione. Un balsamo per l’intelletto. (E comunque siamo a San Domenico, a due passi dalla tomba del santo, quindi con un ottimo patrocinio).
21 martedì Mar 2023
Posted Dante per ritrovarsi
inTag
Non è colpa mia. Non sono stato io. Come ho già accennato rispondendo ad un commento al precedente post sul canto XXIX, è lo stesso mirabile verso dantesco che ha fatto emergere, dal fondo della sua chiarità, come «per vetri trasparenti e tersi, / o ver per acque nitide e tranquille», un suo doppio – ma proprio nel senso del Doppelgänger, un alter ego oscuro e inquietante eppure dotato di un fascino non dissimile dall’originale; un verso “inesistente” che io ho dovuto mio malgrado registrare e che ora oso scrivere, di fianco al testo e in altro colore, quasi fosse una chiosa perfino sacrilega.
«S’aperse in nuovi amor l’eterno amore», il verso che è tutta luce («luce intellettual, piena d’amore»), e descrive come la carità divina, eterna corrispondenza d’amore delle tre Persone, nella sua perenne unità e circolarità si “apra”, cioè germini, fiorisca e si effonda nell’inventiva molteplice e inesauribile della creazione: ecco i «nuovi amor», al plurale perché nell’ordine del creato non si tratta di un amore unico, buono per tutti, universale e generico. Ognuno è amato personalmente: l’amore che conta è predilezione (dilectio) o non è, e dunque ogni singola creatura, anzi ogni tessuto, fibra e singola cellula di ogni creatura vivente è amata di un amore particolare, se no non vivrebbe. Ed è un “nuovo amor” che si rinnova ad ogni istante, perché in amore l’amore di ieri non basta per dare la vita oggi. Eppure quell’amore resta lo stesso, eterno unico immutabile amore della Trinità. Questo, pressappoco, è ciò che si discerne nella luce del verso mirabile «s’aperse in nuovi amor l’eterno amore».
Ed ecco il suo gemello: «s’aperse» è ad un pelo da «si perse», il tratto distintivo è una vocale; quella minima differenza quasi impercettibile che a volte tra gemelli riesce a scorgere solo la madre, ma cambia tutto. «Si perse», al perfetto del verbo perdersi, ha del tragico. Discorremmo, all’inizio del nostro viaggio, della differenza tra “smarrire” e “perdere” e notammo che in questa vita, finché c’è vita, persino la più disperata delle condizioni è comunque uno smarrimento, non una perdizione. Come si fa dunque a dire che «si perse in nuovi amor l’eterno amore»? Non è blasfemo tutto ciò, non è demoniaco? Se pensassi di averlo inventato io, quell’anti-verso, mi ritrarrei immediatamente; ma più ci penso più sono convinto che fosse già lì, nascosto nella lucida trasparenza dell’altro verso, quello vero che Dante ha scritto.
Con quale senso? Torno al mio banco di modestissimo esegeta e azzardo due interpretazioni, invitando gli altri membri della comitiva a dire la loro (e anche ad accusarmi di delirare, se così gli sembra).
La prima è davvero oscura, tenebrosa e “cattiva” e in fondo non fa che tradurre la grande idea gnostica che il male abbia la sua misteriosa origine in Dio stesso. Quegli antichi pensatori del primo cristianesimo immaginarono che nel pleroma divino, cioè nella pienezza di luce, di vita e di amore del mondo divino, dovesse essere accaduto qualcosa, una concatenazione di eventi – che essi fantasiosamente descrissero in modi che suscitarono la beffarda ironia dei teologi cattolici che li confutarono, a partire da Ireneo – sino al precipitare di una rottura che diede origine al mondo di quaggiù, nel quale “si perse”, appunto, una scintilla divina che ora anela infelicemente a ricongiungersi al suo mondo. «Si perse in nuovi amor l’eterno amore», inteso così, sarebbe la negazione di tutta la Commedia, l’antitesi di tutto ciò che Dante è, pensa e ama. Sarebbe l’anticristianesimo. Un punto di tenebra capace di spegnere tutta la luce del Paradiso.
La seconda interpretazione di questo verso inesistente nel sacro poema (che tuttavia mi è stato piantato in cuore dal testo stesso: e trovatemi un’altra opera capace di tali prodigi!) è invece pienamente compatibile con quello vero, ne raddoppia anzi la profondità. Essa dice che Dio, creando l’altro-da-sé, cioè un essere che non è Dio ma da Dio proviene e a tornare a Dio è vocato, crea una libertà che è altra dalla Sua onnipotente libertà, eppure è realmente libera. L’«eterno amore» si apre così a un altro amore, più precisamente a una molteplicità di altri amori che sono liberi di non corrispondergli. E che, realmente, a partire dalla prima delle creature, il più bello degli angeli, non gli corrispondono. Per tali creature che non amano Dio, nel “loro mondo”, è letteralmente vero che «si perse in nuovi amor l’eterno amore». Nuovi amor: il plurale e l’aggettivo qui assumono tutta la valenza negativa che forse solo un uomo dell’antichità poteva comprendere appieno, noi moderni essendo viziati dai miti della novità e del pluralismo. Nuovi amor: i mille amorazzi in cui disperdiamo, consumiamo e sporchiamo non appena il nostro amore, ma in esso l’eterno amore che si è consegnato alla nostra libertà.
20 lunedì Mar 2023
Posted Senza categoria
inSe i desideri sono diritti, quale tra essi è più umanamente comprensibile e perciò meritevole di tutela giuridica del desiderio di godere di buona salute? “Quando c’è la salute …” non è forse il più universale degli assunti? Perché dunque la società condanna moralmente e la legge sanziona penalmente chi, desiderando di star bene ed essendo abbastanza ricco per realizzare il proprio desiderio, compra da un povero un organo vitale che gli è indispensabile? Eppure è quello che ancora succede: il ricco che compera un rene da un povero viene considerato una brutta persona, che abusa della sua posizione di potere e lede l’integrità fisica del corpo di un altro essere umano, ancorché questi sia consenziente. Il corpo, si dice, è un bene indisponibile e non se ne può fare mercato. Se poi quel ricco comprasse un organo estorto con la violenza e, peggio ancora, un organo vitale che non può essere vicariato (non un rene, ad esempio, ma un cuore) che un povero gli cede perché è così disperato da accettare di morire pur di sostentare la propria famiglia, quel ricco sarebbe da tutti considerato un criminale della peggior specie, meritevole di una punizione severissima. Giustamente, si dirà.
Ma se i desideri sono diritti …
Ecco la soluzione: cominciamo a chiamare quella pratica “salute surrogata”. Le parole hanno un gran potere, perché a forza di usarle ci si dimentica della realtà a cui si riferiscono. Dopo un po’ non sarà così difficile parlare di “diritto alla salute surrogata”, a quel punto lo si potrà rivendicare come “scelta di civiltà” con opportune manifestazioni opportunamente enfatizzate dai media, e tutto filerà liscio. L’intendence suivra.
(Ogni riferimento a espressioni analoghe già in circolazione è, ovviamente, del tutto casuale).
19 domenica Mar 2023
Posted Senza categoria
inPer chi non fosse troppo lontano da Cesena, segnalo questo incontro, che si svolgerà venerdì prossimo e da cui confido che ci sarà da imparare qualcosa:
17 venerdì Mar 2023
Posted Dante per ritrovarsi
inMai pausa fu tanto significativa in un discorso musicale, come qui, all’inizio del XXIX. Ecco l’ouverture del canto (vv. 1-9):
Quando ambedue li figli di Latona (cioè il sole e la luna), / coperti del Montone e de la Libra (trovandosi rispettivamente sotto il segno dell’Ariete e della Bilancia), / fanno dell’orizzonte insieme zona (sono contemporaneamente ai lati opposti dell’orizzonte), // quant’è dal punto che ‘l cenìt i ‘nlibra / infin che l’uno e l’altro da quel cinto, / cambiando l’emisperio, si dilibra (cioè quanto tempo passa dal momento in cui sono equidistanti dallo zenit fino a quello in cui si liberano da quel “cinto” – quel momentaneo equilibrio – e si muovono verso emisferi opposti), // tanto, col volto di riso dipinto, / si tacque Bëatrice, riguardando / fiso nel punto che m’avëa vinto.
Nove versi per descrivere un tempo infinitesimale, un punto di tempo; un “nonnulla di silenzio” che noi, con la nostra solita misura grossolana di contare il tempo, non avvertiremmo neppure, e in ogni caso non stimeremmo degno di attenzione. È come quando, in un’esecuzione musicale, quel minimo di esitazione (o di premura), quella certa ombra quasi impercettibile di ritardo (o di anticipo) nel suonare una certa nota – che è di quell’interprete e non di tutti gli altri – cambia a volte tutto il senso della frase, la illumina e ne rivela il tesoro di bellezza altrimenti nascosto. Si ascolti, per un esempio di ciò che intendo, come Arturo Benedetti Michelangeli rivela, facendo sorgere ogni nota dal silenzio, quale capolavoro sia la Sonata in do maggiore di Galuppi, che diversamente confonderemmo con un qualsiasi altro dignitoso prodotto dello stile galante settecentesco. Qui il primo movimento, ma ascolatatela tutta, se potete:
Continua, dunque, quella che potremmo chiamare la metafisica del punto che ci si era palesata nel canto XXVIII. Se avessimo dubbi in proposito, le prime parole che sgorgano dal “punto di silenzio” di Beatrice ce li tolgono : «Poi cominciò: “Io dico, e non dimando, / quel che tu vuoli udir, perch’io l’ho visto / là ‘ve s’appunta ogne ubi e ogne quando» (vv.10-12). Metafisica del punto vuol dire assoluta concentrazione della Totalità – Dio che è «tutto in tutto» – nell’Unità: senza parti, senza distinzioni, senza dimensioni di spazio-tempo …
La ragione qui si sgomenta: dunque il “punto-Dio” è anche senza movimento, senza storia, senza evento? E se non vi è “movimento”, “storia”, “evento”, sarà anche senza relazione? E se è senza relazione, è senza amore? Eppure ci ha fatti: e per amore, ci diciamo sempre, per farci coraggio. Qui si spalanca davanti a noi l’abisso del mistero che è più mistero di tutti i misteri divini; qui davvero la mente e il cuore vacillano e se vi si soffermano troppo la vertigine si fa insopportabile; qui la fede è sospesa nel vuoto: davanti al mistero della creazione. Lo si è detto altre volte, ma non ci stanchiamo di ripeterlo: come è possibile, e perché mai, per quale inconcepibile ragione Dio, il Tutto, il Punto della Totalità dell’Essere, fa essere dal nulla qualcosa di altro-da-sé, qualcosa che non è Dio? Un’inconcepibile – eppure reale, siamo qui! – alterità da Lui, che proprio perché realmente altra può non amarlo, non corrisponderGli, negarLo.
In questo abisso si immerge (ci immerge) e si innalza (ci innalza), partendo da quel punto di silenzio che è un tutt’uno col punto divino che è tutto («là ‘ve s’appunta ogne ubi e ogne quando»), la sovrana bellezza dell’ultima lezione magistrale di Beatrice:
Non per aver a sé di bene acquisto,
ch’esser non può, ma perché suo splendore
potesse, risplendendo, dir “Subsisto”,
in sua etternità di tempo fore,
fuor d’ogne altro comprender, come i piacque,
s’aperse in nuovi amor l’etterno amore.
Quel punto metafisico che avevamo appena fissato nella su unità, ci si è graziosamente rivelato nella sua essenza trinitaria: comunione amorosa delle tre Persone e dunque, in qualche modo da noi ineffabile, anche movimento (περιχώρεσις dissero i Padri, con parola che evoca un armonioso movimento nello spazio, quasi una danza); perché non sarebbe per noi concepibile un amore che non fosse anche un “andare verso” l’altro. Ma come sta che il cerchio di quella perfetta relazione intratrinitaria, perfettamente bastante a se stesso («non per aver a sé di bene acquisto») – in cui il Padre è rivolto al Figlio e il Figlio è rivolto (πρός dice il prologo di Giovanni) e il loro rceproco andare l’uno verso l’altro è lo Spirito che da entrambi procede – si dilata e si apre sino a fare sorgere dal nulla l’essere dell’universo creato? Dante suggerisce: è come se l’effusione di luce di quell’infinito amore divino non accettasse di non diventare, nel suo effondersi, anche risposta d’amore, consapevole e libera, a se stessa: «perché suo splendore / potesse, risplendendo, dir “Subsisto”».
Può un verso solo, un verso solo di un poeta, dire di più di un intero trattato teologico? Se trova orecchi che lo intendano, sì: «s’aperse in nuovi amor l’etterno amore» (v. 18). (Io, per esempio, non l’avevo inteso fino ad ora. Ora che lo intendo, non ho orecchi, mente e cuore che per esso e vorrei sempre ripeterlo, questo verso ultimo e definitivo, che dice tutto:
s’aperse in nuovi amor l’etterno amore.
14 martedì Mar 2023
Posted Senza categoria
inTag
Sono del tutto disinteressato alle celebrazioni del Decennio che per qualche giorno tengono banco nei circoli ecclesiastici sui media e in rete (molto meno nel “mondo di fuori”, che ha altro a cui pensare, direi). Quindi non ne avrei parlato affatto. Però mi è capitato sott’occhio questo articolo del Sismografo – dunque di una testata non certo sospettabile di essere “contro” – che mi pare talmente pieno di buon senso che sarebbe un peccato non condividerlo. Se per caso ci fosse qualcuno che è solito passare di qui ma non ha dimestichezza con quel sito (enormemente più frequentato del nostro piccolo blog), ecco il link:
http://ilsismografo.blogspot.com/2023/03/vaticano-dieci-anni-del-pontificato-di.html
Sottolineo in particolare questo passaggio: «La questione è un’altra: Francesco ha un gigantesco bagaglio di opinioni personali su tutto e in ogni momento. Lungo questi dieci anni ha scritto una specie di romanzo personale sul cosmo. La realtà è sempre come la vede lui e come la descrive lui. Le analisi sono sempre quelle che propone lui. Le domande sono sempre quelle che lancia lui. Le soluzioni sono sempre quelle che lui offre alla Chiesa [e] al mondo. Insomma, questo decennio della vita della Chiesa – che però è un attimo nella sua storia bimillenaria – ha una sola esclusiva referenzialità: il Papa stesso».
A me pare davvero difficile non riconoscere l’aderenza di questa descrizione alla realtà. Tradotto in termini ancora più semplici e popolari, mi pare che il Sismografo dica che Francesco “fa il papa di testa sua”. Il che è una semplice constatazione; del tutto rispettosa e per nulla offensiva, come ogni semplice constatazione è per sua natura. Di conseguenza, non deve affatto stupire, né tantomeno offendere, che i passeggeri della barca di Pietro si sentano più o meno rassicurati circa la sua navigazione a seconda della stima che hanno della testa del timoniere (che non è oggetto di un dogma di fede), dato che costui trascura le carte nautiche, le regole dell’arte e l’esperienza dei precedenti nocchieri. Beati quelli che se ne fidano ciecamente e vedono davanti a sè una navigazione trionfale! Gli altri stanno molto peggio, e onestamente non si può rimproverarli per questo: tuttavia, la certezza dell’inaffondabilità del veicolo (garantita dall’armatore!), permette anche a loro di vivere con un fondo di serena letizia le forti preoccupazioni che, dato il mare in tempesta e gli scogli che affiorano da ogni parte, comprensibilmente li tormentano.
11 sabato Mar 2023
Posted Senza categoria
inIl caso Rupnik (a cui qui si accennò tre mesi fa: https://leonardolugaresi.wordpress.com/2022/12/16/se-non-ci-credono-neanche-loro/) si sta rivelando per la chiesa uno scandalo molto più grave dell’umana miseria di un prete fornicatore, e perfino dei delitti di un prete abusatore: da quanto se ne è saputo, infatti, la vicenda sembra avere tutte le caratteristiche di una blasfema forma di perversione della fede cristiana, in nome di un falso misticismo che consapevolmente e diabolicamente adultera la rivelazione divina capovolgendone il senso. Se è così, bisogna dire chiaro e forte che non esiste male peggiore di questo, né pericolo più esiziale dal punto di vista della fede: perciò appare tanto più incomprensibile la perdurante copertura di cui il “sistema di potere” responsabile di tale scandalo sembra che continui a godere, con l’assenso o quantomeno nell’apparente inerzia dei livelli più alti della gerarchia ecclesiastica.
Non si tratta, purtroppo, di un caso isolato ma si inserisce in una lunga filiera di scandali che hanno al centro delle “personalità ecclesiali carismatiche” e il cui comune denominatore è appunto la presenza dell’elemento che abbiamo definito “falso misticismo”. Per avere almeno una prima idea di che cosa si tratta, consiglio – ma solo a chi sa di avere lo stomaco forte e pensa di poterla reggere – la lettura amarissima di questi due articoli, apparsi sulla Nuova Bussola Quotidiana, che riassumono il contenuto di un lungo e circostanziato rapporto sul caso dei padri domenicani Thomas e Marie-Dominique Philippe e di Jean Vanier, il celebre fondatore dell’Arca. Sono fatti che non hanno direttamente alcun rapporto con la vicenda di Rupnik, ma “l’impronta digitale” è la stessa e tradisce fin troppo chiaramente chi c’è dietro i delirî e le malefatte di tutti quegli sventurati: la simia Dei, il grande falsificatore. Ecco i due pezzi:
https://lanuovabq.it/it/abusi-e-porno-mistica-lo-scandalo-francese-spiega-rupnik
https://lanuovabq.it/it/vanier-labusatore-seriale-che-si-spacciava-per-lo-sposo
Diciamo ancora una cosa: questa storia non è nuova, perché il falso misticismo tallona quello autentico sin dagli inizi della vita della chiesa. Basta abbassare un attimo la guardia che si insinua, come un virus, nel corpo di Cristo. La chiesa però ha sempre avuto gli anticorpi contro questa mortale malattia, ed anche se talvolta lungo i secoli è ricorsa a cure così drastiche che oggi scandalizzano noi “anime belle”, è sempre riuscita finora a venirne a capo. Oggi però la situazione è più complicata, perché la paziente soffre cronicamente di “immunodeficienza acquisita”. Certo, la prognosi resta fausta, perché così ha detto il primario (non praevalebunt), ma il decorso sarà lungo e doloroso.