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La favola con cui la modernità ci ha incantato per due o tre secoli, quella dei “diritti dell’uomo e del cittadino”, sta arrivando alla sua conclusione, che non è un lieto fine: non è il “e vissero tutti felici e contenti” di prammatica, ma un lugubre “e vivranno tutti infelici e scontenti”. È importante osservare che ciò avviene non solo e non tanto perché i “nemici dei diritti”, cioè i dittatori, sembrano troppe volte avere la meglio nel nostro mondo. Succede anche questo, beninteso, e oggi non certo meno di prima, ma c’è un’altra ragione, più profonda ed esiziale perché viene dall’interno del corpo stesso delle cosiddette democrazie liberali.

Quello che sta accadendo è che i “diritti” si mangiano tra loro: i cosiddetti “nuovi diritti”, che hanno ormai occupato prepotentemente, grazie ad una campagna mediatica massiccia, violenta e capillare, tutta la scena pubblica, stanno uccidendo i vecchi diritti, primo fra tutti quello alla libera manifestazione del pensiero, che ormai, di fatto, non esiste più, se non nella forma risibilmente falsa della libertà di ripetere l’opinione dominante (libertà che, come dico sempre, è garantita anche in Corea del Nord, dove a nessuno è impedito di gridare “Viva Kim Yong Un!”).

In Italia, il funesto disegno di legge Zan (che io, a differenza di altri, ho letto) se verrà approvato darà un colpo mortale a ciò che resta dell’art. 21 della costituzione repubblicana: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.». La cosa decisiva, in quel solenne enunciato, è il punto fermo finale. Esso significa: “basta così, non c’è altro da aggiungere”. Anzi, non è lecito aggiungere altro. La libertà è questo: meno di questo non è libertà. Ora, che ne è di questo principio costituzionale, nel disegno di legge Zan? L’articolo 4, proprio quello che vorrebbe essere tranquillizzante in proposito, mette paura perché rivela in modo chiarissimo la sua vulnerazione. Esordisce infatti affermando che: Ai fini della presente legge, sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte – il che già mi fa l’effetto di un energumeno che mi venga vicino armato di un grosso randello dicendomi però “sta tranquillo, che non ti faccio niente” – ma poi non mette il punto, come sarebbe assolutamente doveroso fare, poiché la libera espressione è libera e basta e le condotte legittime sono legittime e basta (e già il fatto che ci sia bisogno di ribadirlo fa venire dei brutti sospetti). No, la frase prosegue e aggiunge subito dopo: purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti. Si intenda bene: la legge non dice che se tu esprimi un’opinione che concretamente determini un comportamento discriminatorio di altri tu diventi corresponsabile degli atti conseguenti alla tua opinione (posto che sia dimostrato il nesso causale diretto, ovviamente). Dice che se tu esprimi un’opinione che sia anche solo «idonea» (quindi solo potenzialmente, in via generale e astratta) a determinare il «concreto pericolo» (Nota bene: è il pericolo che viene definito concreto, non la connessione tra l’opinione e il comportamento) che possa verificarsi un comportamento discriminatorio o violento, tu vieni punito. Il comportamento potrebbe anche non verificarsi, non importa: è sufficiente che l’opinione sia ritenuta idonea a configurarne il pericolo. E chi determina il «concreto pericolo»? Un giudice, a sua discrezione. Quindi, come è chiaro a chiunque sia: a) intellettualmente onesto; b) italofono; c) non del tutto imbecille, la libertà di manifestazione del pensiero garantita ex art. 21 Cost, in seguito alla legge Zan si ridurrebbe a mera facoltà di esprimere solo opinioni che qualcuno non trovi “pericolose”. Quindi in pratica a niente. Si dirà che quel tale che si sente minacciato da una tua opinione deve trovare un giudice che gli dia ragione, ma in quanto a questo … c’è forse qualcuno in Italia che possa sentirsi tranquillo? E soprattutto, posto che, come dicono quelli che si intendono di queste cose, in Italia la vera pena è il processo, il grosso randello a cui alludevo sopra è costituito dalla minaccia, sempre incombente, di azioni legali contro chiunque si azzardi a dire cose che “loro” considerano «idonee a determinare» eccetera eccetera. Un’azione legale, per di più prevedibilmente accompagnata dalla relativa campagna di stampa, vuol dire spese, fastidi, arrabbiature … ce n’è d’avanzo perché i più si autocensurino.

E così saremmo fottuti. Entreremmo in un regime in cui vige permanentemente la sanzione di un reato di opinione indeterminato. Un mostro giuridico. Ripeto: “i nuovi diritti” si mangiano i vecchi diritti. Proprio come in un corpo fanno le neoplasie.

Per guarire dal cancro, ci vorrebbe una rivoluzione culturale: bisognerebbe uscire dalla moderna “favola dei diritti” e riprendere la narrazione giusta, che realisticamente mette l’uomo primariamente di fronte ai suoi doveri, di cui i diritti altro non sono che conseguenze, rilevantissime ma secondarie. C’è forse qualcuno che si è creato da sé? No, noi tutti dipendiamo, dall’inizio alla fine della nostra esistenza. Si torni dunque a riflettere sulle conseguenze di tale dipendenza radicale e si vedrà, ad esempio, che anche il preziosissimo diritto alla libertà di manifestazione del pensiero di cui si è detto sopra, in questa prospettiva trova il suo adeguato fondamento nel dovere che l’uomo ha nei confronti della verità, per come e in quanto ciascuno, in coscienza, arriva a conoscerla e comprenderla. È questa sacra obbligazione verso la coscienza, non un soggettivistico e arbitrario capriccio della volontà che l’articolo 21 della nostra costituzione difende(va) in modo assoluto e invece il disegno di legge Zan nega, ormai senza vergogna.