Frammento di una conversazione tra due ciclisti tutti bardati che mi hanno velocemente oltrepassato mentre camminavo questa mattina: «Quest’anno non ho fatto gli auguri a nessuno … gli altri anni li facevo io … quest’anno ho voluto vedere, e non si è mosso nessuno …».

Per fare le cose, anche le più semplici, anche le meno difficili, a noi uomini occorre una ragione. (Don Giussani avrebbe forse precisato: una ragione adeguata). Genus humanum arte et ratione vivit: è la nostra gloria, questa ed anche la nostra croce. L’uomo vive da uomo, e fa cose da uomo, solo se ha una ragione: se la ragione è buona, è possibile (o probabile) che anche la cosa sia buona; se la ragione è cattiva, è quasi certo – salvo che Dio non si metta in mezzo, come talvolta gli piace fare – che anche la cosa sarà cattiva. Ma comunque una ragione è necessaria. Spesso non basta: ci vuole anche un’affezione al motivo che la ragione riconosce per compiere l’azione, specialmente se questa è faticosa, molesta o pericolosa. E siccome l’affezione, vivissima nell’infanzia, si atrofizza col tempo se non viene coltivata, occorre talvolta un’ascesi che l’abbia resa abbastanza forte.

Se no, le cose finisce che non si fanno: neanche le più semplici, neanche le meno difficili. Che “ragione” hanno quasi tutti, oggigiorno, per farsi gli auguri? Per dire plausibilmente Buon Natale o Buona Pasqua, bisogna avere almeno la convinzione che Natale e Pasqua siano qualcosa di effettivo … e Buone Feste, come oggi improbabilmente molti si augurano, che cos’è mai se non un puro flatus vocis? Si può fare, naturalmente, per abitudine o per qualche altro motivo da niente … ma anche no.

Ecco, forse la china su cui scivola e lentamente si decompone la nostra società, si potrebbe etichettare con questa formula: “anche no”.

(Un giorno il ciclista tutto bardato magari si accorgerà di non avere ragioni adeguate neanche per fare tutta quella fatica e starà a casa a spippolare sulla tastiera).