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«Dobbiamo riaccendere il nostro interesse per la teologia, approfondendo le Scritture e il mistero della fede che si manifesta nella liturgia. Percepisco un anti-intellettualismo in molto cattolicesimo contemporaneo. Mi preoccupa. Esso riesce nella sorprendente impresa di far sembrare la fede noiosa. Storicamente parlando, ogni vero rinnovamento della Chiesa – e chi dubiterebbe che abbiamo bisogno di un rinnovamento? – ha avuto una dimensione intellettuale che ha alimentato l’impresa spirituale e caritativa. Un paradosso che mi sconcerta è questo: navighiamo sulla scia di un Concilio la cui parola d’ordine era “Ritorno alle fonti!”, eppure il nostro discorso diventa sempre più ristretto, autoreferenziale e pragmatico, cedendo a un vocabolario estraneo al pensiero cattolico. Voi chiedete: “Come possiamo recuperare?” Abbiamo strumenti eccellenti. Il Catechismo è una risorsa monumentale, il cui quadro e i cui riferimenti attingono all’intera gamma del nostro patrimonio».

Questa parole, da incorniciare e meditare almeno una volta al giorno, sono state dette da Erik Varden, prelato di Trondheim e amministratore apostolico di Tromsø in Norvegia, e monaco cistercense di stretta osservanza (trappista). Si trovano all’interno di una conversazione molto interessante e ricca, che potete leggere integralmente in inglese qui https://coramfratribus.com/archive/conversation-with-daniel-capo/ e di cui sono riportati alcuni stralci in questo articolo del Timone: https://www.iltimone.org/news-timone/come-risollevarci-il-catechismo-e-una-risorsa-monumentale/ . Credo che esse meritino la più grande attenzione da parte nostra, non solo perché sono di per se stesse assolutamente centrate sul punto vero della questione, ma anche perché provengono da uno degli esponenti più interessanti di quello che io chiamo “l’episcopato del futuro”, cioè quello che è già molto avanzato in una traversata del deserto che noi forse abbiamo appena incominciato. L’episcopato del presente, purtroppo, è formato in larga misura da un ceto ecclesiastico che ha la sua estrema e più eclatante rappresentazione nella disastrosa conferenza episcopale tedesca, cioè in una chiesa gerarchica tanto ricca di beni materiali quanto povera di fede, che di fatto non trasmette più l’annuncio di Cristo. L’ingombrante cadavere di quel tipo di chiesa lì, il corpaccione burocratico-ecclesiastico che dà a molti l’illusione di una presenza cristiana che non c’è più, è destinato a decomporsi in fretta, nonostante tutti i tentativi, non si sa se più patetici o più ridicoli, che vengono fatti per rianimarlo. Più a nord della Germania invece, in Scandinavia, il processo di evaporazione della chiesa ha già raggiunto e superato la fase terminale, il cristianesimo sembra sparito dalla società, ma dal “piccolo gregge” rimasto viene un inaspettato, promettente segnale di vita. Come dice san Paolo: «Così anche nel tempo presente vi è un resto, secondo una scelta fatta per grazia» (Rom 11, 5). I vescovi della Scandinavia sono molto diversi dai vescovi tedeschi (e dai loro simili, meno spudorati ma della stessa razza, sparsi in tutto il mondo). Il cardinale Arborelius, ad esempio, e lo stesso Varden vanno tenuti d’occhio con molta attenzione. Di Varden, in particolare, segnalo agli eventuali lettori di questo piccolo blog un aureo libretto tradotto anche in italiano qualche anno fa, La solitudine spezzata. Sulla memoria cristiana e il recentissimo Chastity. Reconciliation of the Senses, purtroppo ancora disponibile solo in inglese, che però raccomando caldamente come prezioso antidoto contro le farneticazioni pornoteologiche di qualcuno e l’evasività di molti altri nella Chiesa di oggi. Chi lo leggerà si imbatterà in un modo molto fine, e per certi versi sorprendente, di parlare cristianamente di castità, un argomento di cui la Chiesa purtroppo ai nostri giorni sembra vergognarsi di parlare, come se non sapesse più cosa dire o non avesse le carte in regola per dirlo.

Ma Varden prima di essere un vescovo è un monaco, ed è su questo che vorrei soffermarmi. La sua giustissima denuncia di un «anti-intellettualismo in molto cattolicesimo contemporaneo», che io chiamerei piuttosto ostilità alla teologia, non viene infatti da un retroterra dottrinale di tipo accademico e professorale, ma da quella che vorrei definire esperienza contemporanea della teologia monastica. Il suo monito ai cattolici non ha il sentore, inevitabilmente sempre un po’ polveroso di gesso e di carta, dell’aula universitaria o della biblioteca, ma l’aria fresca del chiostro e della cella monastica. Le fonti a cui, come Varden ricorda, il Concilio Vaticano II voleva che i cattolici ritornassero sono anzitutto quelle della teologia dei Padri, «queste colonne della Chiesa» che «sono personalità totali: ciò che insegnano lo vivono in un’unità così diretta, per non dire nativa e ingenua, che il dualismo tra dogmatica e spiritualità, figlio del periodo successivo, è loro ignoto» (H.U. von Balthasar). Questa esperienza della profonda unità tra dottrina e vita che segna indelebilmente il primo millennio di storia della Chiesa si arricchì, e in un certo senso si complicò, in età medievale, per l’istanza “scientifica” generata dal riscoperto aristotelismo, in un’articolata distinzione tra «teologia scolastica» e «teologia monastica», ma fino ad un certo segno questo avvenne entro una permanente unità. Come dice Balthasar, «la Scolastica matura di Alberto, Bonaventura e Tommaso d’Aquino significa il καιρός singolarissimo, in cui la teologia riesce appunto ancora a trasfigurare sacramentalmente la scienza che si fa autonoma e ad irradiarla fin dall’interno, e in tal maniera conferisce alle scienze profane, ad accompagnarle sulla via, un ethos che proviene dalla sfera della santità cristiana, e fa appello anche al ricercatore profano». Chi è digiuno di queste cose e vuole averne un quadro semplice ma illuminante si affretti a leggere questa bellissima catechesi di Benedetto XVI: https://www.vatican.va/content/benedict-xvi/it/audiences/2009/documents/hf_ben-xvi_aud_20091028.html .

Dal XIV secolo in poi fu il divorzio, una frattura tra il polo della “dogmatica“, cioè della teologia scientifica che verte sul contenuto oggettivo della Rivelazione, e quello della “spiritualità”, della mistica e della pastorale sempre più consegnate alla dimensione dell’esperienza soggettiva; frattura che non si è più ricomposta, nonostante tutti gli sforzi e i tentativi messi in campo, soprattutto negli ultimi due secoli. Oggi poi – è necessario prenderne atto con veracità, senza nasconderci nulla – siamo ben oltre: i tanti cattolici che, nel laicato come nella gerarchia, propugnano di fatto una Chiesa più ignorante, nella stolta illusione che diventi così più pastorale (finendo per ritrovarsi semplicemente una Chiesa più ignorante e perciò meno pastorale, come amaramente commentava il compianto cardinale Caffarra) temo che non abbiano più neanche l’idea di che cos’è la teologia. Per questo dico che è preziosa l’indicazione che ci viene dalla teologia monastica contemporanea di uomini come Erik Varden.

O come Mauro Giuseppe Lepori, abate generale dell’Ordine Cistercense, che l’altra sera era qui a Cesena e ha tenuto, in cattedrale, una lezione che è stata un perfetto esempio di quel “pensare teologico” che non ha assolutamente nulla di astratto, teorico, avulso dalla vita degli uomini del nostro tempo, lontano dai bisogni e dalle domande che le persone concrete si pongono concretamente nella vita quotidiana. Senza rincorrere niente e nessuno, senza voler piacere al mondo, senza mostrare alcun bisogno di “aggiornarsi” per essere in sintonia con l’ultima moda. Soprattutto senza cadere nel mortale equivoco che il cristianesimo, per mantenersi in vita e trovare ascolto presso gli uomini del nostro tempo, debba ridursi ad una prassi senza dottrina (cioè senza conoscenza della Verità): proposta di una “vita buona”, fatta di solidarietà e accoglienza ma ultimamente incapace di «dare ragione» della propria speranza perché essa stessa priva di ragioni adeguate.

Oggi ho messo davvero troppa carne al fuoco, ma non posso fare a meno di condividere con gli eventuali lettori anche la possibilità di seguire l’incontro cesenate con padre Lepori e di meditare sul testo scritto della sua lezione. Le due cose si possono fare tramite questi link:

https://www.facebook.com/watch/live/?ref=watch_permalink&v=916696600102355

https://www.corrierecesenate.it/Diocesi/Lepori-a-Cesena-La-Chiesa-non-deve-tanto-apparire-ma-incontrare.