Tag

, , ,

Io di preciso non lo so, perché non sono un esperto di politica americana. Ricordo che ad ogni elezione gli esperti del ramo ci spiegano che non è così importante chi sia l’inquilino della Casa Bianca perché sì, lui è il presidente ma poi lo staff, l’apparato, il deep state, il sistema checks and balances eccetera eccetera eccetera. Immagino che un pochino conti anche lui, nel complesso gioco dei fattori decisionali, ma so che comunque c’è una cosa che spetta solo a lui personalmente, una cosa che può e deve fare solo lui. Nei momenti cruciali della vita della nazione (e, ahimé, del mondo), la sua vera e peculiare funzione è quella di andare in televisione e “fare una certa impressione”. Svolgere (il che significa, letteralmente, recitare) la parte del commander in chief. Proprio come dicono i versi della marcetta che accompagna le apparizioni pubbliche del Potus (come lo chiamano loro):

Hail to the Chief we have chosen for the nation,
Hail to the Chief! We salute him, one and all.
Hail to the Chief, as we pledge cooperation
In proud fulfillment of a great, noble call.

Un ruolo meramente attoriale, si dirà. Sia pure, purché lo si dica col massimo rispetto, e avendo almeno un’idea del fisico che ci vuole per fare l’attore (io ce l’ho perché, pur non avendo mai calcato la scena ho fatto l’insegnante per quarant’anni e un’ora di lezione è un’ora di performance). La rappresentazione in politica è molto, per non dire quasi tutto, e non a caso uno come Augusto, che non si può dire che non ne capisse, in punto di morte chiese agli astanti di fargli un applauso se aveva recitato bene il mimo della vita.

Da questo punto di vista, parziale e ristretto ma non irrilevante, oggi tutti misurano le conseguenze tragiche di aver messo a fare la parte di presidente degli Stati Uniti un uomo nelle condizioni di Joe Biden. Non ne faccio banalmente una questione di età (anche perché io, per solidarietà anagrafica, sono molto favorevole ai vecchi): se a fare il discorso che ieri doveva fare il Potus, ci fosse stato Clint Eastwood credo che sarebbe andato benissimo. Ma Clint, il Clint di Gran Torino, è un vecchio meraviglioso. Biden … è quello che è. E che tutti vedono.

Si rifletta un attimo sul modo in cui egli è diventato presidente: praticamente senza fare la campagna elettorale, né per le primarie né per la sfida contro Trump. Al suo posto, hanno fatto tutto i giornali, le televisioni e i padroni della rete. Questa è un’anomalia così enorme, rispetto al sistema politico americano, che chiunque poteva vederla, anche un ignorante come me. Tanto che ne scrissi qui: https://leonardolugaresi.wordpress.com/2020/11/05/cio-che-sarebbe-meglio-per-biden/ , ed era il 5 novembre 2020, e qui: https://leonardolugaresi.wordpress.com/2021/03/18/biden-e-putin-poveri-noi/, il 18 marzo scorso.

Perché dico che il problema sta nella campagna elettorale del tutto anomala che si è svolta, con la scusa del covid, l’anno scorso negli USA? Perché in quel paese il vero banco di prova della sostenibilità del ruolo presidenziale da parte dei candidati è proprio e solo quella. Vi è infatti la consuetudine di eleggere presidente, con un sistema elettorale ridicolo, personaggi spesso privi di un adeguato cursus honorum e quasi sempre digiuni di politica internazionale. E non sto pensando solo a Trump: il mitico Obama, per esempio, aveva solo tre anni da senatore e per il resto aveva fatto il community organizer, ma non aveva governamo mai niente; Clinton era governatore dell’Arkansas, che ha meno di tre milioni di abitanti; Carter lo era stato della Georgia e prima coltivava le noccioline, eccetera. Lasciamo stare gli studi, che spesso sono improbabili … Però per arrivare in fondo alle primarie e diventare candidato di uno dei due partiti, e poi per battere l’altro candidato, bisogna farsi un mazzo così, avere un bel po’ di pelo sullo stomaco, una buona dose di culo e un bel paio di palle. Cioè le physique du rôle per fare il presidente degli Stati Uniti. (Per il resto c’è Mastercard: cioè lo staff, l’apparato, il deep state, il sistema checks and balances e tutto quello che ci spiegano gli esperti).

La sgrammaticatura smaccata che è stata compiuta l’ultima volta è che, avendo “qualcuno” deciso che la sola cosa che contava era cacciare via il Puzzone e che il nome di Biden era il più funzionale allo scopo, si è voluto azzerare tutto questo, cioè l’unico elemento realmente agonistico e vagamente democratico del sistema: il predestinato è rimasto praticamente nascosto per tutta la durata della campagna elettorale, protetto da una cortina di ferro mediatica che ha letteralmente impedito, tra le altre cose, di porre il problema, oggettivo ed evidente, delle sue condizioni di salute (un tema a cui l’opinione pubblica americana era abituata ad essere attenta in modo quasi paranoico!), mentre l’altro si sbatteva per farsi rieleggere. Questo è, politicamente, un errore da matita blu, più grave degli eventuali brogli elettorali, ormai indimostrabili e di cui è inutile parlare (a parte il fatto che i brogli, a loro modo, fanno parte del gioco elettorale da sempre).

Il problema è che le sgrammaticature si pagano, in generale nella vita, ma a teatro e in politica in modo particolare.