Per amore di noi uomini smarriti nella miseria del peccato, viene nel mondo; ma lo fa quasi di nascosto. Si fa uomo, ma non lo sa quasi nessuno. Sulla sua nascita i vangeli (solo due su quattro peraltro) ci dicono quel tanto che basta all’allestimento del “presepe mentale” di cui abbiamo bisogno, convocando fugaci pastori e improbabili magi a simboleggiare una qualche ricezione del Dono divino da parte del mondo, ma la realtà è che Dio, quando venne, risultò “non pervenuto” per quasi tutta l’umanità. Solo sua madre Maria lo seppe. E un poco Giuseppe, che forse poco ci capì ma tutto credette (e per questo è così grande e potente per noi).
La vergine concepisce il Figlio di Dio, anche nel senso che lo pensa. Non fa altro che questo, dal momento dell’annuncio, pur continuando la sua vita ordinaria. Dio viene nel mondo e tutto lo spazio che conquista è quella donna, quella piccola famiglia. Il concepito è Dio, fin dall’inizio: lo zigote è Dio, e non lo sa nessuno tranne Maria; la blastula è DIo, e non lo sa nessuno tranne lei. È Dio l’embrione, e le nausee che le vengono sono di Dio; come è Dio è il feto che si ingrossa nel ventre, e l’ingombro e i fastidi che provoca sono di Dio. E non lo sa nessuno, tranne lei, che continua a pensarci. Nasce Dio, e per quanto straordinaria possa essere stato quel parto (come lo fu il conepimento), ci saranno state le doglie di ogni parto: doglie di Dio. E poi venne alla luce quel bambino che – se noi professiamo la fede che Gesù Cristo è vero uomo e vero Dio – sarà stato un vero bambino, da sfamare e da pulire come tutti gli altri; non quel bamboccio coronato e benedicente che spesso ritraggono i pittori. Un bambino con la coscienza umana di un bambino. Che però è Dio.
Io credo che noi dobbiamo pensare che, almeno fino al misterioso episodio della presa di coscienza avvenuta nel Tempio (che il solo Luca ci narra a 2,41-52), il peso “sovrumano” dell’autocoscienza divinoumana sia stato portato, vicariamente, da Maria. Chi ci pensava, tutti i giorni, continuamente, che quell’infante era Dio? Ripeto: tutto lo spazio guadagnato nel mondo da Dio – che vi è entrato di persona, con tutto se stesso! – è ristretto nel perimetro della coscienza di Maria e, secondariamente, di GIuseppe, finché è stato vivo. Ma anche quando quel Figlio, fortificatosi in sapienza e grazia (cfr. Lc 2,40.52), portò lui stesso il peso del Mistero che era, lo fece a lungo in silenzio, di nascosto. Pensiamoci: il mondo andava avanti come sempre, da Cesare all’ultimo degli schiavi, e Dio era lì, in mezzo a loro, sconosciuto. Anche a Nazaret, dove tutti lo conoscevano e nessuno sapeva che era Dio. Da un certo punto di vista, nulla è così misterioso come quei trent’anni, che i vangeli canonici hanno voluto preservare intatti, vietandosi (e vietandoci) la miserevole paccottiglia degli apocrifi dell’infanzia.
Mi pare che in quel paradossale “nascondimento della rivelazione” ci sia per noi un’indicazione quanto mai preziosa, specialmente oggi che il segno si è fatto di nuovo esiguo. Infatti, anche quando quella misteriosa “latitanza divina” cessò e cominciò la cosiddetta “vita pubblica” di Gesù, il metodo di Dio fondamentalmente non cambiò. Quella missione, infatti, fu ben poca cosa in fin dei conti: meno di tre anni, passati per lo più tra i villaggi della Galilea, finiti male. La morte in croce la videro tutti, la resurrezione non la vide nessuno, il Risorto apparve forse a qualche centinaia di persone (e non fu scontato riconoscerlo, a quanto pare). Per giunta, a quelli che lo videro risorto sembrò ovvio che quel miracolo segnasse la fine della storia, il tempo dell’instaurazione del regno di Dio, finalmente una cosa visibile a tutti, anzi una cosa talmente imponente da imporsi su tutto e su tutti: invece no. A chi glielo chiese, prima di andarsene Gesù rispose che non spetta a noi uomini conoscere i tempi e i momenti, ma solo a Dio Padre.
È tutto rimandato a data da destinarsi, e intanto si va avanti così: «avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni» (cioè martiri) «a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra» (At 1,8). Come all’inizio, come sempre, Dio continua a non imporsi e lo spazio che si conquista nel mondo in cui pure è venuto, è solo quello dei nostri cuori, coincide con la coscienza che abbiamo della nostra appartenenza a Lui. In certi luoghi e in certi tempi della storia questo ha dato luogo ad un segno potente, una visibilità diffusa, come una luce riflessa e moltiplicata da tanti specchi; in altri tempi e in altri luoghi è appena percettibile, ma il metodo è essenzialmente lo stesso. Noi fatichiamo a capire, non è così che faremmo se dipendesse da noi. Ma Lui fa così.
Per questo, in un senso del tutto paradossale, si ptorebbe dire che la festa di domani è più importante di quella di oggi: senza Stefano, e tutti gli altri martiri che sono venuti dopo di lui, per noi non ci sarebbe Natale. Il Figlio di Dio sarebbe ugualmente venuto nel mondo, ma noi non lo sapremmo (come in effetti tanti non lo sanno).
battistinimariagrazia ha detto:
Grazie!! Bellissimo!!!!
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Fiorenza ha detto:
Straordinario. E vero, vero, tutto vero in ogni parola,
Il “paradossale “nascondimento della rivelazione” “… Memorabile.
Tutto da imparare a memoria. Da stamparselo nella memoria.
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Fiorenza ha detto:
“Dio fa così”: “continua a non imporsi e lo spazio che si conquista nel mondo in cui pure è venuto, è solo quello dei nostri cuori, coincide con la coscienza che abbiamo della nostra appartenenza a Lui.”
Questa, intanto, l’ho imparata. E non me la dimentico più.
(Su nostri cuori, però, come si impone! Come si potrebbe mai sfuggirgli? C’è chi ci ha provato in tutti i modi -qualche cosa ne so- chi la coscienza di appartenere a Lui se la voleva strappare dal cuore, chi sarebbe andato in capo al mondo per non pensare a Lui… Ma, grazie a Dio, non gli è riuscito, e si è dovuto arrendere: “Costringili a entrare”.)
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Maria Cristina ha detto:
Il “metodo di Dio”a ben pensarci e’poi quello che regge l’intero universo anche fisico
Se il chicco di grano caduto a terra non muore rimane solo :se muore produce molto frutto .
Il chicco di grano che muore nell’oscurita’del suolo, nel silenzio e nel nascondimento , e nessuno lo vede , rinasce poi come spiga matura alla luce del sole
Qualcosa di questo mistero avevano intuito , molto lontanamente, anche gli antichi pagani, prima di Cristo. Anche loro intuivano che in una necessaria gestazione nell’ oscurita’ , negli oscuri meandri del sottosuolo per poi risalire alla luce ,stava il mistero della vita.
Il “nascondimento della Rivelazione” e’ certo ben diverso dal nascondimento degli antichi riti misterici dei greci, pero’ alla base c’e’sempre questo metodo di Dio , che compare in certe allusioni anche nell’Antico Testamento ,
“Vere tu es Deus absconditus”
Secondo Pascal ( e anche secondo gli ebrei) Dio non potrebbe manifestare apertamente la sua Gloria , il suo Splendore , la sua Faccia , la sua Shekina’, perche’altrinenti l’uomo non potrebbe sostenerne la visione abbagliante.
Dio non vuole abbagliare l’uomo: neppure per la nascita del suo Figlio, e neppure per la sua gloriosa resurrezione . Gia’nell’episodio della Trasfigurazione sul Monte Tabor capiamo gli effetti sugli apostoli dello svelamento della Gloria vertiginosa e insostenibile.
Gesu’ e’ il vero chicco di grano che ha dovuto morire per poi portare molto frutto.
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Maria Grazia Miccheli ha detto:
Secondo me la Nascita del Divino Bambino a Betlemme costituisce un mistero quanto la sua Resurrezione. Ricordiamoci che Maria Immacolata concepita senza peccato e rimasta intatta dopo la nascita di Gesù non può aver partorito con gran dolore perché questa è la pena inflitta alla donna per esserti lasciata ingannare dal serpente antico.
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Fiorenza ha detto:
“Il concepito è Dio, fin dall’inizio: e non lo sa nessuno tranne Maria”. “È Dio l’embrione, e le nausee che le vengono sono di Dio; come è Dio è il feto che si ingrossa nel ventre, e l’ingombro e i fastidi che provoca sono di Dio. E non lo sa nessuno, tranne lei”. Quanto vero è questo! Cioè, quanto vero è “anche” questo, così come vera è ogni altra frase del post. L’ho già detto, quanto mi abbia colpito. Anche quando mi dico: ma come “non lo sa nessuno tranne Maria”? Almeno Elisabetta lo sa. Lo seppe immediatamente, appena la vide giungere (stanca, affaticata), la madre incinta del suo Signore (” A che debbo….?”). Eppure, anche se posso accogliere il pensiero che trova ragionevole confutare questa come altre tue frasi qui scritte, il loro contenuto di verità non solo resta intatto ma si accampa ancora più luminoso. Non è strano, questo? Sarà che il criterio da usare per riconoscere se un’affermazione è vera o non è vera non è quello della “verificabilità”.
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Fiorenza ha detto:
Uno che avrebbe amato questo tuo testo è Piero: il figlio della Francesca nativa del borgo di Monterchi. Si dovrebbe andarci in pellegrinaggio, a Monterchi dove lui ha lasciato il suo capolavoro: quella “Madonna del Parto” Regina, la Regina del cielo, che ci compare di fronte come la piccola ragazza di campagna in stato di gravidanza avanzata e il cui volto è il ritratto di lei, della Francesca, della sua mamma. Il “nascondimento della rivelazione” (grazie per queste tue paradossali tre parole, che aprono innumerevoli porte).
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Vanni ha detto:
“Gesù bambino, certo. Ma ricordiamoci che è il Natale di un Crocifisso”
https://blumudus.it/2020/il-natale-dei-crocifissi/
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Fiorenza ha detto:
latens Deitas
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Fiorenza ha detto:
Troppo impegnativo per me il contenuto della nuova lezione su Dante che nel frattempo è arrivata: difficile poterne dire ora qualcosa, oltre alle brevi divagazioni che ho appena inviato. Dovrò prima rileggerla bene. Torno invece, intanto, per un attimo indietro (si può? Catone mi sgriderebbe?). E torno ancora su quel “mio” Piero della Francesca che a me pare così in sintonia con le parole di questo post che tanto mi ha coinvolto e che, non a caso. proprio a lui mi ha fatto pensare. Ma è a Londra che vado questa volta, per guardare la Natività. E, in questa soprannaturalmente bella Natività di Piero, per prima cosa il gruppo di quei così insoliti angeli dietro al Bambino. Poi, dietro a loro, lo scorcio di un paesaggio che è, in ogni minimo dettaglio, quello a lui familiare dell’alta Val Tiberina. Nella parte opposta del quadro, sulla destra, c’è invece uno scorcio urbano, Questo non solo è stato identificato come Sansepolcro ma in esso appare, fedelmente riprodotto, il quartiere in cui si trovava la casa di lui. Non è insolito, questo, in Piero, che ci ha lasciato, ad esempio, le mirabili vedute di Arezzo (l’Arezzo- Gerusalemme) nella Leggenda della Croce. La cosa nuova, invece, e sconcertante, è che qui anche tutti i personaggi della scena, proprio tutti, da Maria a Giuseppe ai due pastori e agli angeli, sono, pur nella loro aura di lontananza, di eternità e di cielo, dei precisi ritratti: è ormai accertato che nei volti di tutti loro Piero ha fissato per sempre le persone della sua famiglia, questa tribolata famiglia dei Franceschi. Piero era il maggiore di cinque fratelli e cinque sono, qui, gli angeli: non hanno le ali, non sono gli angeli immaginati osannanti in volo. Cantano, sì, ma in semplicità e purezza, al suono del liuto come Piero avrà visto fare tante volte, in quiete, al gruppo dei suoi fratelli: non sono figure idealizzate, hanno i volti di ragazzi comuni, e ognuno è così particolare, ben individuato, così ben conosciuto, si direbbe. Eppure, non c’è traccia alcuna di realismo, qui, nell’aria cristallina in cui tutti sono immersi e di cui sono parte. Non può essere che il “sovramondo” dei misteriosissimi angeli, quello. E quella scena inedita, così insolita nella tradizionale iconografia della Natività, è proprio “il Natale”. I familiari di Piero, che avevano ereditato il quadro, lo chiamavano “Il Presepio”. Se mai ho “visto” gli angeli, la verità degli angeli e il lontano Natale in cui loro hanno cantato a Betlemme, ecco, la prima volta di cui io mi ricordi non è stata in nessun presepe ma è stata qui. Fu quella tavola (quella tavola che, oltre a eternare il volto segreto dei suoi parenti, che solo lui sapeva vedere, fu ideata e realizzata “per” loro, come dono di nozze – e come suo testamento?- per un nipote, il figlio maggiore di uno dei suoi cinque fratelli), sì, forse davvero fu proprio quella, ora che ci ripenso, la prima lezione fatta a me dal “pittore teologo” (così lo chiamava il mio maestro, quello da cui ho anche appreso anche i particolari a cui ora ho solo accennato): è come se, guardando e riguardando quella Natività, io avessi appreso un poco, almeno un poco, a “vedere”: cioè a guardarmi intorno. Perché lui, che non a caso è il mio pittore preferito, mi sembrò, fin da subito, il primo che avesse visto le cose (le grandi cose), le cose “vere”, più vere del vero, nel suo quotidiano, nella normale quotidiana vita di casa sua.
Penso sia chiara almeno una cosa: che per me è stata una lezione, questa del blog, che è diventata tutt’uno con un’altra, con quell’altra lontana – lontanissima ma mai dimenticata- lezione.
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