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«Non so cos’abbia detto, e penso che non lo sappia neanche lui»: con questa giudiziosa e bonaria replica ad un confuso e incoerente balbettio del suo avversario, è probabile che Donald Trump abbia inciso l’epigrafe sulla pietra tombale della ricandidatura di Joe Biden alla presidenza degli Stati Uniti. La frase è definitiva proprio perché non si tratta di una geniale perfidia oratoria, di quelle che i politici di razza sanno sfoderare nei dibattiti decisivi, ma della banale constatazione di un dato di fatto, alla portata di chiunque. L’unico merito retorico di Trump è di averla pronunciata senza cattiveria, appunto come si direbbe: “piove”, se fuori sta diluviando.

Vedo che in queste ore si moltiplicano le dichiarazioni di esponenti e simpatizzanti del partito democratico che dicono che Biden deve farsi da parte. Il problema è che se il dibattito di questa notte ha certificato la sua “insufficienza cognitiva”, ponendo ufficialmente fine ad un’operazione di censura e rimozione che durava da quattro anni (qui se ne accennava, peraltro sbagliando completamente, come sempre, le previsioni sugli sviluppi futuri, già nel novembre 2020: https://leonardolugaresi.wordpress.com/2020/11/05/cio-che-sarebbe-meglio-per-biden/), le vie d’uscita dall’inghippo in cui si sono messi non sono agevoli. Tenuto conto che negli Stati Uniti è quasi una prassi costituzionale che il presidente in carica per il primo mandato venga ricandidato per il secondo e che Biden per giunta ha stravinto le primarie democratiche, a questo punto per toglierlo di mezzo è necessario o che sia lui stesso a ritirarsi oppure che avvenga una sorta di “colpo di partito” alla convenzione democratica di Chicago in agosto. In entrambi i casi, però, occorre una motivazione forte, che non può che essere il riconoscimento pubblico della sua demenza (non in questi termini formali, ovviamente, ma in una sostanza che sarà palese a tutti). Lui potrebbe anche andare in televisione a leggere un foglietto con scritto “sono un po’ stanchino”, ma il sottotesto sarebbe chiaro a tutti, e molto più importante del testo. Se però si ammette pubblicamente che il presidente non si ricandida perché è affetto da demenza, come si fa a mantenerlo nel ruolo di commander in chief per altri sei mesi, fino al 20 gennaio 2025? L’uomo che non si ricandida perché viene riconosciuto come non più compos sui dal suo stesso partito come può continuare a fare il presidente? Come possono gli Stati Uniti accettare di essere, non dico governati, anche solo rappresentati da un “presidemente”? Bisognerebbe che Biden si dimettesse ora, contestualmente alla rinuncia a ricandidarsi, ma ciò comporterebbe la sua sostituzione con Kamala Harris, di cui, a quanto pare, più o meno tutti in America pensano che capisca ancora meno di Biden, pur senza essere affetta da patologie geriatriche,. Tant’è vero che nessuno l’ha mai neanche nominata, nei mesi e negli anni scorsi, come possibile alternativa. Però se ora, sia pure in zona Cesarini, dovessero lasciarla sedere alla scrivania dello studio ovale, come farebbero poi a non candidare lei per il prossimo quadriennio? Di nuovo, dovrebbero ammettere che è un’incapace. D’altro canto, se scegliessero lei andrebbero alle elezioni di novembre con la candidatura più debole che si possa immaginare (la favoletta dell’altra volta della “prima donna di colore” ecc. ecc. oggi non servirebbe più a niente, visto il suo stato di servizio).

Mi si obietterà che questi, per lorsignori, non sono affatto problemi, perché il loro potere consiste appunto nella capacità di “far finta di niente”, cioè di negare la realtà (come qui si notava qualche giorno fa: https://leonardolugaresi.wordpress.com/2024/06/18/fare-finta-di-niente-hanno-la-faccia-come/). Però la realtà esiste.