Ho letto che al ministero della pubblica istruzione hanno pensato di farsi belli infiocchettando la seconda prova dell’esame di maturità per il liceo scientifico con una citazione fascinosa del grande matematico Ennio De Giorgi, che loro hanno copiaincollato così: «All’inizio e alla fine abbiamo il mistero (…). A questo mistero la matematica ci avvicina, pur senza penetrarlo».
Solo che De Giorgi, che era un cristiano di fede profonda, concreta e manifestata pubblicamente, aveva scritto: «All’inizio e alla fine abbiamo il mistero. Potremmo dire che abbiamo il disegno di Dio. A questo mistero la matematica ci avvicina, senza penetrarlo». Al posto di Dio, due parentesi e tre puntini di sospensione. Che, a pensarci bene, è un simbolo efficacissimo del goffo e sprovveduto imbarazzo con cui l’uomo moderno si rapporta al problema di Dio. Tanto che, una volta che tutti i crocifissi saranno scomparsi dalle aule scolastiche, farei la proposta di appendere quello come simbolo identitario: tre puntini di sospensione tra parentesi. Tutto quello che ci è rimasto.
Ma io temo che i funzionari ministeriali (o i politici, non saprei) autori della pensata fossero benintenzionati, e questo li rende inescusabili ai miei occhi. Temo ancor di più che siano cattolici (o paracattolici, o mezzocattolici), desiderosi di dire una parola buona, una parola allusiva che però non desse troppo fastidio e non facesse arrabbiare nessuno. Quindi “mistero” sì, perché suona bene, fa effetto, e tanto ognuno lo interpreta come vuole. “Dio” no, perché “Dio” in pubblico non si dice. Tra persone civili, a modo, e acculturate comme il faut, “Dio” non si dice. Non qui in Europa, almeno.
Potremmo anche sbrigare la faccenda dicendo che hanno semplicemente fatto i finti tonti per non pagare il dazio (pavido e pigro come sono, nessuno più di me è comprensivo nei riguardi di chi vuol evitare grane), però … Però mi resta un retrogusto sgradevole, a causa di quella meschina vergogna di dire Dio. Non per Dio, che ci è abituato (è un Padre che vede i suoi figli vergognarsi di Lui, continuamente), ma per noi: perché di quella vergogna, di quell’autocensura che tutti abbiamo almeno un po’ introiettato e che soffoca in gola ai cristiani le parole cristiane, lentamente si muore.
Condivido. Però ricordo che don Giussani amava la parola “mistero”, al punto da farne, talora, un sinonimo di Dio. Ed è una cosa che mi ha sempre sorpreso. Magari mi sbaglio.
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Sì, perché sulle sue labbra era chiarissimo chi fosse quel Mistero. E poi lui diceva preferibilmente “il Mistero che fa tutte le cose”. Con la stessa intensità con cui diceva “Tu-che-mi fai” per dire “io”. Oppure diceva “la Realtà” per dire “Cristo”: questo era il senso della suo bilancio di vita: “La Realtà non mi ha mai tradito”. Parlava talmente cristiano, che si poteva permettere di usare qualsiasi parola del vocabolario, anche la più insolita.
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Su tale questione ( acutamente posta ) ci sarebbe da discutere/dialogare a lungo; fatemi dire almeno, che i miei alunni (liceo scientifico) NON avevano questo riflesso auto-censorio: di Dio si parlava, ciascuno a suo modo, assai esplicitamente. I falsi pudori arrivano poi….
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in un mondo iper-materialistico e in cui si dice tutto e troppo (iper-connesso, iper-parlato, iper-visto) che non lascia spazio all’immaginazione, alla fantasia e all’approfondimento, l’idea di suggerire invece che esplicitare secondo me non è così sbagliata. Inoltre nel periodo adolescenziale, per quanto alla soglia di una presunta o sperata maturità, il rifiuto del detto è dietro l’angolo. Dunque l’invito indiretto alla riflessione non è necessariamente una cattiva idea, anzi.
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Osservazione degna di plauso, la sua, perché è benevola nei confronti degli ideatori della trovata ministeriale. Chi interpreta in bonam partem le intenzioni altrui si guadagna, ai miei occhi, già solo per questo almeno una parte di ragione. Però accederei più facilmente al suo apprezzabile punto di vista se i funzionari ministeriali avessero scovato un testo di De Giorgi (o di qualcun altro) allusivo e criptico di suo e l’avessero impiegato coll’intenzione che dice lei. Invece l’equazione di De Giorgi diceva m = D, e loro gli hanno fatto dire m = x.
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certo, anche la sua è una bella idea in effetti. Diciamo che, ancora a voler guardare le cose con occhio costruttivo, il fatto di aver nascosto la variabile dell’equazione, la D appunto diventata incognita, ha un piccolo aspetto positivo: se mai a qualcuno dei ragazzi fosse venuto in mente di cercare la frase originale (o la avesse per caso incontrata ad esempio in un blog come il suo), avrebbe scoperto che il mistero e il divino coincidevano nel pensiero di De Giorgi, e ciò lo potrebbe portare (con lo intendo lo studente chiaramente) a riflettere in maniera sfaccettata, e chissà magari fruttuosa, sulla frase stessa o sulla situazione
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