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I più svegli l’avevano capito già da un pezzo – C.S. Lewis, tanto per dirne uno, ne parlava già nel 1943 – ma oramai dovrebbe essere evidente anche ai più tonti, come me: gli uomini non li sopporta più nessuno. Nessuno di quelli che hanno potere, quantomeno.

Tanto per cominciare sono troppi. Otto miliardi, si dice (ma vattelapesca): un’enormità che fa impressione anche soltanto a dirla. Tutti gli ambientalisti, i cultori di “Madre Natura”, gli angosciati per la sorte del pianeta – e chi si azzarda a non esserlo? Se non ti iscrivi a una di queste parrocchie o se almeno non te ne stai zitto e buono, diventi immediatamente una brutta persona – al di là di tutte le chiacchiere sulla transizione ecologica, la sostenibilità, le tecnologie verdi e via dicendo, sotto sotto, nello scantinato della mente (quello dove stanno le cose che non si dicono, ma che contano davvero), pensano che il vero problema sia che l’umanità pesa troppo. Otto miliardi di individui la terra non li regge: fanno del danno semplicemente esistendo (ogni respiro consuma ossigeno e produce anidride carbonica), e se anche i poveri del mondo vogliono emanciparsi e consumare come noi è finita. Quindi bisogna che nascano sempre meno uomini e ne muoiano di più. Il carattere abortista ed eutanasico dell’attuale “civiltà” non è secondario e accidentale, ma ne definisce l’essenza. Solo in questa prospettiva si può inquadrare concettualmente e spiegare un fenomeno altrimenti inconcepibile come la santificazione dell’aborto. Nel giro di pochissimi anni, infatti, l’aborto è passato da “tragedia” e “triste dato di fatto” di cui bisogna prendere atto per gestirlo socialmente e giuridicamente (di quella pudica ipocrisia ancora grondava la nostra legge 194 del 1978!) a “diritto umano” sacro e inviolabile, contrassegno irrinunciabile di progresso e civiltà, già in procinto di essere elevato a dovere morale e sacramento dell’anti-chiesa universale.

Oltre che troppi, gli uomini che sono al modo (perché non sono stati ammazzati prima di nascere e non sono stati ancora ammazzati in quanto vecchi e malati) sono cattivi: incapaci di star fermi al loro posto allineati e coperti, a fare le cose giuste nel modo giusto (che è quello dettato da chi dirige la società), dove li metti sbagliano e fanno disastri. Se gli dai un po’ di libertà, ne abusano; se li fai scegliere, optano sempre per il peggio: guarda cosa combinano quando li lasci votare. Non capiscono niente, sono volgari, e puzzano. La Cina, ecco quello che ci vuole! In Cina sì che le cose funzionano, là sì che il “legno storto” sanno come raddrizzarlo. Per questo è già deciso che questa era (l’ultima dell’umanità?) sarà cinese. Sulla Cina (e alla Cina), infatti, nessuno ha niente da eccepire (neanche la Santa Sede, a quanto sembra). Alla Cina non si chiede conto di nulla, neanche del covid, tanto per dirne una. Trentacinque anni fa, non si chiese conto del massacro di Tienanmen, tanto per dirne un’altra, forse perché in realtà andava bene così. È il modello di una società ordinata come si deve: aI cinesi, per esempio, è stato detto per decenni che non potevano avere più di un figlio per coppia e loro hanno obbedito. Ora si trovano alle prese con un gigantesco problema di invecchiamento della popolazione e si può immaginare che il governo lo affronterà alla sua maniera, magari ordinando di fare un po’ di figli in più, ma soprattutto eliminando i vecchi di troppo: e tutti i potenti del mondo li ammireranno per questo e diranno in cuor loro: “vedete come si fa?”.

Ma poi, in fin dei conti, a che servono gli uomini? A parte il fatto che sono troppi e che, se non li tieni sottomessi, disturbano l’ordine sociale, che cosa ci stanno a fare nel mondo? Fino ad ora si poteva rispondere: per lavorare, per produre i beni e i servizi e far funzionare l’economia. Ma forse la lunga stagione dell’homo faber, cominciata decine di migliaia di anni fa con defatiganti giornate di raccolta, di caccia e di pesca, poi di agricoltura, di artigianato e di industria, sta per giungere al termine, almeno per gran parte del genere umano. Non ci hanno forse spiegato che le intelligenze artificiali, in combinazione con la robotica avanzata, sono destinate nel prossimo futuro a soppiantare gli uomini nella grande maggioranza delle mansioni? Il Pinocchio che è in ciascuno di noi vuole credere agli omini di burro che sprizzando ottimismo da tutti i pori gli spiegano che non c’è nulla di cui preoccuparsi, perché anzi sarà bellissimo: il mondo trasformato in una specie di grande paese dei balocchi in cui a produrre i beni e i servizi ci penseranno (è il caso di dire) macchine intelligenti ed efficientissime e all’uomo spetterà solo consumarli. Basta trovare il modo di allestire un adeguato “reddito universale di umanità” che consenta ai nullafacenti di acquistare ciò di cui avranno bisogno (il pentastellato che, insieme a Pinocchio, è dentro ciascuno di noi vuol credere anche a questo) e sarà una pacchia per tutti. Va bene, crediamo pure che andrà così: ma una volta eliminato o drasticamente ridotto il lavoro, quando non ci sarà bisogno né di braccia né di cervelli, a che serviranno otto miliardi di tubi digerenti?

No, basta con l’uomo: questa è la conclusione a cui siamo arrivati. La cosa tragicamente ironica è che questo finale di partita radicalmente antiumanistico è l’esito beffardo di quell’antropocentrismo moderno che, sin dalle origini e per tutto il suo sviluppo, si è presentato come la massima esaltazione dell’uomo. Come scriveva Lewis nel 1943, «ogni generazione esercita potere sui propri successori: e ognuna, in quanto modifica l’ambiente trasmessole e si ribella contro la tradizione, resiste e pone limiti al potere dei propri predecessori. […] se una qualsiasi generazione raggiungesse davvero, attraverso l’eugenetica e l’istruzione scientifica, il potere di fare dei propri discendenti ciò che vuole, tutti gli uomini nati dopo dipenderebbero da tale potere. E sarebbero più deboli, non più forti: infatti, pur avendo messo nelle loro mani macchine straordinarie, avremmo anche prestabilito in che maniera dovrebbero usarle. […] Gli uomini, lungi dall’ereditare potere, saranno più soggetti degli altri all’ipoteca dei grandi pianificatori e condizionatori, ed eserciteranno a loro volta sempre meno potere sul futuro». Egli, prefigurando il «dominio di poche centinaia di uomini su miliardi e miliardi di altri uomini», osservava acutamente che «il potere dell’Uomo di fare di se stesso ciò che vuole significa […] il potere di alcuni uomini di fare di altri uomini ciò che vogliono».

Di umanesimi, però, ce ne sono due: uno è quello dell’uomo che si esalta, finendo per odiare se stesso. È l’umanesimo del «fetido orgoglio» (come lo chiamava Leopardi) con cui l’uomo si proclama signore del mondo, che si rovescia su se stesso portando all’abolizione dell’uomo. L’altro è quello di Dio, pieno di incomprensibile simpatia per il pupazzetto di creta che un giorno ha plasmato e su cui ha soffiato il suo alito, facendolo a propria immagine e somiglianza. A Dio l’uomo piace. Non si sa come sia possibile, ma è così. Platone, nelle Leggi, dice che l’uomo è il giocattolo (τὸ παίγνιον) degli dèi: è un errore, naturalmente, ma come molte cose sbagliate che dicevano quegli antichi pagani contiene un seme di verità. Chiunque osservi senza deriderlo l’attaccamento che un bambino può avere per il suo giocattolo preferito, per il pupazzo da cui non si separa mai, quello che se lo perde è una tragedia infinita, ecco chi osserva quella tenace tenerezza di cui è capace il bambino per un orsetto ciancicato o una bambolina ormai impresentabile, può farsi un’idea non puerile di quanto Dio tenga a noi, con tutte le nostre magagne. Noi che l’abbiamo deluso subito dopo che ci aveva fatti (eppure neanche quella volta ci maledisse, mentre maledisse il serpente!). Lui, l’unico che tenga a noi, l’unico che ci ami incondizionatamente, fino alla morte, tutti. Nessuno escluso. Perché anche il peggiore degli individui, il più ripugnante, il più meschino, il più insignificante o il più nocivo è «uno per il quale Cristo è morto» (Rom 14, 15).

Vada il mondo come vada, arrivi anche all’abolizione dell’uomo. L’importante è che resti almeno qualcuno a tenere viva la coscienza di ciò che l’uomo è per Dio, perché qui sta la sola possibilità di salvezza.